L’ANDREOTTI TECNICO

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Tre mesi dopo quella liberazione, mettere in discussione le proposte del governo in materia di lavoro equivale a venire accusati di alto tradimento. Dissentire non si può e non perché dissente una minoranza. Stavolta è contro la maggioranza delle forze sociali e avanza dubbi un bel pezzo del parlamento. Nell’ideologia del montismo, però, queste sono vecchie e superate abitudini. Il coro degli apologeti amplifica la stessa musica, sulla nota dell’emergenza. O così o, dio non voglia, Monti se ne va. Tolta la cappa è venuta fuori una gabbia.
Ieri Monti ha citato Andreotti spiegando che non tirerà  a campare. Del resto è un tecnico cui hanno disegnato il profilo del salvatore della patria. Sempre Andreotti, però, raccomandava di fare attenzione alla cattiveria dei buoni. Consiglio utile. Adesso, a chi le chiede di correggersi, Elsa Fornero risponde «non distribuisco caramelle». Perché quella è roba «da politici», spiega la ministra con argomento tipicamente grillino – nel senso del comico, non del viceministro dell’economia. Così Monti, con la Corea sullo sfondo, si fa venire il dubbio che sia il paese, il nostro, a non essere ancora pronto per lui. CONTINUA|PAGINA2 Il messaggio non è nuovo, diventa solo più duro mano a mano che ci si inoltra in questa gestione tecno-emergenziale della crisi. Dal primo giorno in parlamento Monti si è rivolto ai partiti con il «voi». Ha argomentato che «loro», i tecnici – cioè i più importanti banchieri, avvocati d’affari, consulenti della pubblica amministrazione, presidenti di Authority e di commissioni ministeriali, collaboratori di un certo numero di governi – non avevano alcuna responsabilità  per la situazione disastrosa del paese. Ieri ha insistito, ricorrendo anche a qualcosa di simile a un sondaggio sullo «scarso gradimento» degli eletti dal popolo.
Eppure non è un segnale di forza se dopo tre mesi il presidente del Consiglio ha in tasca ancora e soltanto questo argomento. Evidentemente è in difficoltà , altri sondaggi lo testimonierebbero, Monti deve alzare la voce. Non gli basta più il consenso operoso di cui gode, consenso che va dal Quirinale al direttore del primo giornale italiano che non trova disdicevole discutere a cena, a casa del primo ministro e con il presidente del senato, come sveltire l’iter del pacchetto lavoro in parlamento.
Ma l’antipolitica esercitata dal palazzo non è cosa che possa durare a lungo. A meno che non lo si voglia coerentemente trasformare in eversione. Così Monti, che non sarà  Andreotti ma un po’ democristiano è stato, alla fine deve recuperare proprio il manuale di navigazione nella palude parlamentare. Minaccia clamorosi abbandoni, ragiona sulla successione a nuovi incarichi, mercanteggia una riforma epocale per un cda della Rai. Ieri è tornato persino il vecchio «vertice di maggioranza». È già  questa l’unica «tecnica» con la quale il governo può tirare a campare fino al 2013. A tirare le cuoia saranno altri.


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