L’avventura in casa omaggio a fumetti al maestro Salgari

by Editore | 7 Marzo 2012 8:06

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l 2011 è stato un anno di celebrazioni salgariane, poiché lo scrittore veronese si era dato la morte, neanche cinquantenne, nell’aprile del 1911. È all’inizio del 2012 che sono arrivati però due fra gli omaggi più sinceri, sentiti e infine luminosi. Il primo è il racconto “Mamapraciam”, in realtà  già  apparso dieci anni fa e ora sistemato nella recente raccolta di Michele Mari, Fantasmagonia (Einaudi). Il secondo è un graphic novel, o romanzo a fumetti. Lo ha scritto Paolo Bacilieri, autore affermato del fumetto europeo, e si intitola Sweet Salgari (Coconino Press, pagg. 156, euro 17,50).
L’opera di Bacilieri salda un debito storico del romanzo a fumetti (e più in generale dell’immaginario popolare italiano, con la memoria di Salgari) e lo fa proprio nel momento in cui il numero monografico di Tirature ’12 (“L’età  adulta del fumetto”, a cura di Vittorio Spinazzola, Il Saggiatore/Fondazione Mondadori) sancisce l’inaspettata centralità  guadagnata dal genere nel poco vispo panorama editoriale italiano contemporaneo. La vicenda del graphic novel italiano ha in Hugo Pratt e in Corto Maltese il suo profeta e il suo eroe. Un imprinting che si è giocato sull’avventura, sull’esotismo, sul carisma della lontananza remota in cui per il medium dell’evasione trasognata assicurata a lettori ingenui (ovvero genuini) passava un’idea non banale di eroismo, valore: un’intera etica ed estetica dell’avventura. Tutto questo ha molto a che fare con Emilio Salgari, questo riluttante martire dell’editoria popolare che nella memoria dei suoi lettori resta come certi cruciali maestri elementari o professori delle medie inferiori, di cui ci si ricorda con grata commozione ma che non si è più voluti andare a incontrare mai. Sono i custodi di ciò che noi saremmo potuti diventare; sembra allora scabroso far conoscere loro l’unica cosa che, nel bene e nel male, siamo diventati davvero; temiamo di incontrare, rovesciato in negativo nei loro occhi, lo spaventoso cumulo delle nostre potenzialità  perdute. Nell’etimologia, e nel senso, di avventura non c’è appunto il presagio e l’attesa di ciò che verrà  in futuro? Ma se essere ingenui a quelle età  è inevitabile e anche divertente, esserlo stati si trasforma poi nel mero sollievo di non esserlo più; su tutto ciò che avviene attorno a quel passaggio cruciale calano le nebbie dell’oblio volontario.
A trarci dal segreto (ma comune) imbarazzo, Paolo Bacilieri dà  corpo e figura al noto paradosso di Salgari come geografo sedentario, viaggiatore di scrittoio, suddito umiliato dell’Italietta umbertina e superbo creatore e demiurgo di Mompracem. Sweet Salgari si apre su una scena maestosamente ironica: la descrizione salgariana del Gange (tratta dai Misteri della jungla nera) apposta a ampi panorami torinesi con il Po, la Mole, le piazze. «Il Gange, questo famoso fiume celebrato dagli indiani antichi e moderni, le cui acque sono reputate sacre da quei popoli, dopo d’aver solcato le nevose montagne dell’Himalaya…»; e Bacilieri ci mostra il Valentino. 
Il Salgari di Sandokan, del Corsaro Nero, delle Pantere di Algeri e delle Meraviglie del 2000 compare solo in forma di parola, cioè didascalia: lo illustrano gli scorci di Verona, Venezia, Torino, Genova; le bettole dove Salgari sbevazzava, giocava e disputava con amici irridenti, viveva sfighe e sfoghi della realtà , con il suo carattere ribelle, ostinato, irriducibile; i boschi dove passeggiava solitario; i tavolini da cui riempiva i fogli di inchiostro, al lume di candela. Attenendosi con puntiglio ai dati biografici del suo eroe, Bacilieri ricostruisce un’Italia piccola e come prigioniera di una impetuosa spinta a crescere e una disperata renitenza a farlo: un’Italia che era il carattere e il pubblico di Salgari; se si preferisce, una patologia di cui Salgari era sintomo e vittima. La cultura di massa è un mistero ancora adesso: figuriamoci allora, quando era agli esordi. Così la prodigiosa inventiva di Salgari diventa materia di cottimo editoriale; il suo talento è la sua schiavitù; il suo carattere è il suo destino. Perché le sue navi e le sue mongolfiere solchino mari e cieli di Tropici, Caraibi e antipodi, i suoi pennini devono solcare fogli, su fogli, su fogli, su fogli; tutti uguali, tutti diversi, mai sufficienti a rintuzzare l’altra marea cartacea montante, di conti e affitti da pagare. I pirati che arrembavano il naviglio di Salgari erano armati non di sciabole e machete ma di pigioni e contratti capestro.
Con il ritmo narrativo e la brusca pietas che si addicono al salgariano vero, Bacilieri costruisce Sweet (o anche suite) Salgari alternando continuamente tre elementi narrativi. Le città  e i paesaggi attraversati dallo scrittore; le scene rappresentative della sua vita (da ragazzo, poi da giovane, da marito e da padre); infine, a scandire i diversi capitoli della vita, le sequenze in cui Salgari passeggia per il bosco della collina di Torino per scegliere il posto in cui darsi la morte con un rasoio, in un suicidio rituale, più da samurai che da misconosciuto scribacchino. 
La narrazione di Bacilieri trova qui il suo culmine in una bellissima invenzione. La voce che Salgari è morto si sparge per Torino, i ragazzi se la passano di orecchio in orecchio, e sono Garroni, Bottini, Derossi, Franti; fra lo sconcerto degli adulti sabaudi, abbandonano le scuole, le case, le officine per rendere omaggio a chi ha compreso i loro appetiti e nutrito le loro fantasie. Nel farlo, Salgari aveva dovuto accettare di poter essere riconosciuto solo dopo essere stato amato, senza avere mai le due cose assieme. Aveva chiamato su di sé, in definitiva, le ipocrisie del rimpianto assieme alle vane consolazioni della mitologia postuma.

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