L’articolo 18 e la costituzione

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È allora in poche righe del documento approvato dal Governo il 23 marzo la sostanziale confessione dell’incostituzionalità  (che sembra davvero manifesta) della previsione che si vorrebbe inserire nel nuovo testo dell’art. 18, là  dove a pag. 10 si legge che ad assumere importanza decisiva ai fini dell’intensità  della tutela cui il lavoratore avrà  diritto è “la motivazione attribuita al licenziamento dal datore di lavoro”.
Questo infatti vuol dire, come esplicitato nello stesso capitolo del testo governativo, che a parte l’ipotesi del licenziamento discriminatorio o disciplinare camuffato, in tutti gli altri casi di licenziamento pure manifestamente illegittimo perché arbitrario (non essendovi né ragioni disciplinari né ragioni economiche per disporlo), il diritto del lavoratore al possibile reintegro viene assurdamente condizionato al tipo di “bugia” che l’imprenditore ha ritenuto di inserire nella lettera di licenziamento (appunto la decisiva “motivazione attribuita al licenziamento dal datore di lavoro”).
Se il datore di lavoro avrà  arbitrariamente allegato inesistenti cause disciplinari allora il lavoratore ha diritto al reintegro; se invece l’imprenditore avrà  allegato, altrettanto arbitrariamente, inesistenti ragioni economiche, solo per questo il reintegro è escluso! 
L’incostituzionalità  è quindi intrinseca a questo progetto di riscrittura dell’art. 18 e riguarda i cittadini in quanto tali prima ancora che come lavoratori. Principi fondamentali della nostra Costituzione impediscono che l’ambito di tutela di ciascuno di noi dipenda dalla volontà  della nostra controparte (art. 24). Ed è sempre la Costituzione che impedisce che situazioni identiche vengano trattate in modo diverso (art. 3). E non c’è dubbio che un licenziamento privo dei requisiti di legge, lo è allo stesso modo a prescindere da quale sia la falsa allegazione che lo supporta.
Il progetto del Governo invece consegnerebbe la seguente assurda situazione. Se un imprenditore vuole semplicemente licenziare (non per discriminazione ma) per semplice voglia di farlo senza che ve ne siano le sole ragioni che l’ordinamento prevede per giustificarlo, ebbene l’ambito di tutela del lavoratore dipenderà  incredibilmente da quale falsa ragione il datore di lavoro deciderà  di allegare nell’illegittimo ben servito. Se scriverà  che è per ragioni disciplinari, il giudice che ne accerta l’inesistenza potrà  reintegrare il lavoratore. Ma se invece il capo azienda scriverà  che è per ragioni economiche, il diritto al reintegro del lavoratore svanirà  di incanto, e il giudice che pure accerti l’inesistenza anche di quel motivo, viene per legge costretto a poter accordare solo l’indennizzo. E ciò solo in ragione di ciò che il datore di lavoro ha (falsamente) dichiarato. 
L’incostituzionalità  è quindi intrinseca nel progetto del Governo per una sua clamorosa contraddittorietà  interna. Perché da un lato afferma il giusto principio generale in base al quale in caso di licenziamento illegittimo può esservi anche il diritto al reintegro (a seconda dei casi che verranno accertati dal giudice); però poi d’improvviso crea una fessura dove questo diritto svanisce di incanto e per sola volontà  della parte che ha interesse a farlo svanire. Una fessura che all’evidenza rischia di diventare voragine contraddicendo lo stesso impianto che il Governo ha stabilito di seguire.
A ciò si aggiunga che la salvaguardia infine inserita dal Ministro Fornero per i casi in cui il lavoratore riesca a dimostrare che si sia camuffato un licenziamento discriminatorio o disciplinare, non solo non risolve la questione ma rende l’ingiustizia ancora più clamorosa. Ed infatti arriviamo al paradosso che dinanzi a un licenziamento non discriminatorio ma arbitrario che allega inesistenti ragioni economiche, ha maggiore tutela il lavoratore che possa dire di essersi macchiato di qualche colpa disciplinare rispetto a quello che invece nessuna colpa possa attribuirsi!
Il punto è che Costituzione alla mano, a parte le ipotesi di nullità  del licenziamento per discriminazione, tutti gli altri casi di licenziamento illegittimo devono avere lo stesso ambito di tutela, quale esso sia. È senz’altro legittima l’opzione del Governo di passare da un sistema che prevede sempre il reintegro ad un sistema più flessibile dove l’intensità  della tutela è affidata al giudice del caso concreto. Ma così deve essere sempre, in tutti i casi di licenziamento illegittimo. Non può certo una delle parti in causa determinare quali siano i diritti della controparte e quali siano i poteri del giudice, pena la frontale violazione dell’art. 24 della Costituzione che garantisce ad ogni cittadino (lavoratore o meno che sia) la quantità  e l’intensità  delle tutele apprestate dall’ordinamento, non certo dalla volontà  del suo avversario in causa. 
È davvero sorprendente che si stia creando tutto questo sconquasso su una ipotesi normativa che per come progettata non supererebbe il più elementare degli esami di costituzionalità .


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