La via stretta del ministro fra la missione in Cina e i rinnovi di Confindustria

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Governo, imprese e sindacati hanno condiviso il metodo col quale affrontare l’ultima settimana di negoziato (anche se la Cgil è contraria a fissare scadenze): una serie di incontri bilaterali tra Fornero e i vertici delle associazioni e poi le ultime riunioni, per chiudere tutto la prossima settimana fra mercoledì 21 e venerdì 23. Due date che la titolare del Lavoro ha indicato non a caso. Chiudere entro mercoledì significherebbe arrivare il giorno prima della designazione del nuovo presidente della Confindustria da parte della giunta dell’associazione, con l’attuale numero uno, Emma Marcegaglia, non ancora entrata nella fase di interregno che durerà  fino all’Assemblea del 24 maggio. Se non sarà  possibile, bisognerà  però chiudere entro venerdì, perché poi il presidente del Consiglio, Mario Monti, partirà  per la missione di una settimana in Corea del Sud, Giappone e Cina. E il premier non vuole trascinare la partita fino ad aprile. 
La fase finale del confronto si svolgerà  dunque a ritmi serrati, a Palazzo Chigi. Al centro ci saranno le norme sui licenziamenti, cioè l’articolo 18. Monti e Fornero, anche per avere contropartite concrete da scambiare, hanno deciso di accelerare sulla riforma degli ammortizzatori sociali che, ha detto ieri il ministro, andrà  a regime nel 2015 e non più nel 2017. Inoltre, nel bilancio sarà  inserita una voce ad hoc per il finanziamento dei nuovi strumenti di sostegno al reddito per chi perde il lavoro. Al contempo, nella fase di transizione, saranno assicurate le risorse per gli ammortizzatori «in deroga», così da continuare a fornire un paracadute ai lavoratori vittime della crisi. Ma la mancanza di indicazioni certe sui finanziamenti, come ha osservato il leader della Uil Luigi Angeletti, e il taglio di due anni della fase transitoria (2015 anziché 2017) hanno allarmato i sindacati e la Confindustria che, vista la crisi in atto, vogliono poter contare ancora a lungo sull’indennità  di mobilità , che invece verrebbe sostituita dall’indennità  di disoccupazione più leggera e più breve. 
La moneta di scambio degli ammortizzatori sociali non funziona dunque. Soprattutto se l’obiettivo era convincere i sindacati a rendere più facili i licenziamenti. Altre carte dovranno essere calate, probabilmente alcuni correttivi della riforma della previdenza per risolvere, per esempio, il problema degli «esodati», centinaia di migliaia di lavoratori che saranno espulsi dalle aziende in crisi e che rischiano di restare nei prossimi anni senza stipendio e senza pensione. Non è un caso che ieri un intervento in questo senso sia stato chiesto anche dal leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Altre «compensazioni», come le chiama Fornero, sono già  state indicate nel capitolo della «flessibilità  in entrata», attraverso una stretta sui contratti a termine, che dovranno costare di più rispetto a ora, e la promessa di fare dell’apprendistato, che prevede tre anni di lavoro garantito e buone possibilità  di stabilizzazione, il contratto «dominante». Il tutto per ridurre il numero di precari e di disoccupati.
Basterà  a convincere le parti sociali a firmare l’accordo? No, se non ci saranno correzioni anche sugli ammortizzatori. Sull’articolo 18, poi, le posizioni sono ancora lontane. Il governo sembra orientato a restringere ai soli licenziamenti discriminatori l’obbligo di reintegro nel posto di lavoro, provvedendo in tutti gli altri casi con un indennizzo economico deciso dal giudice, sul modello tedesco, o da un arbitro scelto dalle parti. La Cgil difficilmente accetterà  una proposta del genere. Sul fronte opposto sono artigiani e commercianti a non ritenere sostenibile una riforma degli ammortizzatori sociali che per loro si tradurrebbe in un aumento dei contributi.


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