La Val Susa

by Editore | 2 Marzo 2012 8:52

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Centoventimila abitanti spalmati su due valli ai piedi della Sacra di San Michele. Val Susa e Val Sangone, che per anni si sono “contese” il tracciato della Torino-Lione, ora convivono in un’unica comunità  montana che, a maggioranza, quest’opera non la vuole. È difficile tracciare un quadro del consenso rispetto all’alta velocità : non esistono sondaggi e anche l’idea del referendum, più volte buttata sul piatto, è stata poi sempre abbandonata. Troppo rischioso, probabilmente, per entrambi i fronti, confrontarsi con diventano quindi i numeri delle manifestazioni, alle quali partecipano, invitate, moltissime persone che arrivano da fuori. Oppure i risultati elettorali. Le ultime elezioni hanno assegnato Susa, governata dal No-Tav Sandro Plano, a un sindaco del centro destra che è favorevole all’opera e ha “conquistato”, nel nuovo progetto, la costruzione di una stazione internazionale nel suo comune. Ma il “sì” alla Tav non si è mai organizzato ed è uscito poco allo scoperto: l’unico evento “promozionale” è stato organizzato a Torino, nel chiuso di una sala congressi, e dalla valle sono arrivati pochi operai e qualche sindaco. I movimenti invece hanno una storia lunga vent’anni: manifestazioni, documenti e decine di pagine che spiegano le ragioni della loro protesta.

Sindaci del si / Nell’alta valle governata dal centrodestra e nei centri che subiscono il traffico dei Tir    


I sindaci dell’alta valle e delle montagne che hanno ospitato l’Olimpiade invernale 2006 sono a favore della Torino – Lione. Lo è il Comune di Susa, oggi guidato da Gemma Amprino, convinta che la Tav porterà  turisti grazie alla nuova stazione internazionale dove fermeranno i treni veloci, e soprattutto porterà  lavoro. Ed è a favore anche Renzo Pinard, primo cittadino di Chiomonte, che ospita il cantiere per la galleria esplorativa. Insieme a loro anche i sindaci dei centri che oggi subiscono l’inquinamento e il traffico provocati dal passaggio quotidiano di migliaia di Tir. Ma è a favore anche gran parte della Val Sangone, dove governa il centrodestra, pur essendo lontana dall’alta velocità  ma unita alla Val Susa dall’appartenenza alla stessa Comunità  montana.

I pacifisti / Famiglie, anziani e giovani per il “No” senza fare mai ricorso alla violenza    


Le marce sono nel dna della protesta No-Tav e dei valsusini: chilometri e chilometri a piedi, in pianura, in montagna, con il freddo e con il sole. Ogni volta è battaglia sui numeri, ma si tratta sempre di parecchie migliaia di persone. Tra loro anziani, famiglie con bambini. In prima fila sfilano i sindaci della maggioranza della Comunità  montana, eletti con il Partito democratico, che qui ha una posizione diversa da quella regionale e nazionale, favorevole all’opera. La loro arma sono i ricorsi: sette solo negli ultimi mesi, contro il cantiere e contro il progetto. Nei cortei sventolano sempre le bandiere gialle di Legambiente, Wwf e spesso insieme ai manifestanti “marciano” anche i trattori della Coldiretti locale, che teme danni per l’economia agricola.

I commercianti / Con la nuova stazione internazionale in arrivo più turisti e posti di lavoro    


La Tav è sinonimo di lavoro e turismo per i commercianti dell’associazione di Susa. Posizione netta ed espressa più volte dalla presidente Patrizia Ferrarini. «La Tav è l’unica salvezza per le nostre famiglie – ha detto – Deve essere fatta bene, il progetto dovrà  tutelare la salute di tutti, e dovranno lavorare le nostre aziende e i nostri giovani. Vogliamo garanzie chiare e precise, ma basta con questa sterile, ormai inutile guerra alla Tav. Basta con la disinformazione “contro”. Noi il treno lo vogliamo, e siamo sempre di più a pensarla così». Sulla stessa linea anche gli imprenditori di “Sviluppo e Tutela Valsusa”: associazione, nata l’estate scorsa, che raccoglie aziende edili e imprenditori commercianti per i quali la Torino-Lione è sinonimo di posti di lavoro e occupazione.

Gli irriducibili / Sulle barricate anche a rischio denuncia tra loro cattolici, verdi e centri sociali    


Restano per ore ai blocchi sull’autostrada, anche quando scende il buio e inizia a far freddo. Organizzano bivacchi e pregano sotto le finestre dell’ospedale Cto a Torino dove da lunedì è ricoverato Luca Abbà , caduto dal traliccio dell’alta tensione. Rischiano “volentieri” una denuncia se si tratta di violare la zona rossa o farsi portar via di peso dalla carreggiata. Come è successo mercoledì quando cinquanta irriducibili si sono sdraiati sull’asfalto con le mani dietro la testa per quella che hanno chiamato “protesta di resistenza pacifica”. Tra loro ci sono i ragazzi del centro sociale torinese Askatasuna, che ha ormai una sorta di “distaccamento” in valle, le liste civiche No Tav, che hanno eletto amministratori in molti comuni, soprattutto nella basse valle, i Cattolici per la difesa della Valle, gli operai della Fiom, i grillini del Movimento 5 stelle e gli iscritti a Sel.

Gli esasperati / La nuova maggioranza silenziosa di valligiani stanchi del far west    


Sono tanti, anche se nessuno li ha mai contati. Non esistono sondaggi sul consenso nei confronti della Tav da parte dei valsusini. A leggere i dati elettorali però qualcosa si può capire: nel 2009 a Susa, terzo centro della zona per numero di abitanti, ha vinto il centrodestra favorevole alla Torino-Lione con un ribaltone rispetto alla giunta precedente, guidata da Sandro Plano, ora leader istituzionale della battaglia contro l’alta velocità . Analoghi capovolgimenti sono avvenuti a Condove e Bardonecchia. Altrove il “sì”alla Tav è arrivato in questi mesi, per esasperazione. I continui blocchi stradali, gli scontri con le forze dell’ordine, l’immagine di una valle che vorrebbe essere turistica ma che somiglia troppo spesso al far west non fanno bene alla causa del consenso. Vivere in lotta non piace a nessuno. O quasi.

Gli anarchici / Da Torino e Atene, pronti alla guerra sono gli antagonisti in trasferta    


Dopo vent’anni di lotta l’antagonismo è accolto a braccia aperte in Vals Susa. Dallo scorso giugno, quando sui terreni del futuro cantiere fu dichiarata la libera Repubblica della Maddalena, poi sgomberata, hanno fatto la loro comparsa loro. Anarchici. Hanno accenti lombardi, romani, a volte parlano francese e greco. Sono vestiti di nero, spesso a volto coperto. Arrivano ai presidi con i caschi nascosti negli zainetti e sanno lanciare una pietra a colpo sicuro. Erano il 3 luglio intorno al cantiere di Chiomonte, dove sono tornati anche a dicembre per la lunga giornata di scontri nei boschi. Non sono quasi mai isolati e il popolo dei presidi li guarda, magari da lontano, senza prendere le distanze. “Siamo tutti black bloc” è lo slogan degli ultimi mesi.

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