La Ue vuole l’indennizzo per chi viene licenziato ma solo con i nuovi contratti

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ROMA – Per molti il segno dell’Europa sul mercato del lavoro è stato lasciato dalla lettera dei «due presidenti» della Bce Jean-Claude Trichet e Mario Draghi. Nell’agosto dello scorso anno il loro diktat all’Italia suonava così: «Adottare una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento». Poche parole ma che, inequivocabilmente facevano pensare ad una forte deregolamentazione in uscita e all’articolo 18. Ma se questa fu la linea radicale di Francoforte, la Commissione europea ha elaborato negli ultimi mesi un proprio progetto volto a riformare il mercato del lavoro del Continente, molto meno schematico e assai più articolato. Sebbene questo progetto, contenuto nella «Commission note», intitolata «A proposal for a “single” open-ended contract», proponga una vera e propria rivoluzione nel mercato del lavoro europeo, per alcuni aspetti il dettagliato manuale d’uso di Bruxelles sembra più tenero del meccanismo Monti-Fornero che sta dilaniando il paese. L’Europa, infatti, dice sì all’indennizzo, ma solo per i nuovi contratti e non esclude il reintegro per motivi economici. 
Contro la “segmentazione”
L’analisi e la parole d’ordine sono più o meno le stesse. Il mercato del lavoro europeo, dice la Commissione, è afflitto dalla «segmentazione», ovvero dalla presenza contestuale di lavoratori temporanei e a tempo indeterminato. Il fenomeno, aggiunge Bruxelles, provoca preoccupazione dal punto di vista «sociale ed economico» e va «combattuto». I lavori temporanei creano discontinuità  nelle carriere, producono salari più bassi, riducono contributi e pensioni. Durante la recente crisi, inoltre, la perdita di lavoro si è concentrata sui temporary workers, soprattutto tra i giovani e i lavoratori con basse qualifiche. 
Il contratto unico: soluzione europea
La Commissione nota che è assai difficile passare da un contratto temporaneo ad uno a tempo indeterminato: in media in Europa, ci vuole almeno un anno. Come superare questa fase? Con il single open-ended contract, il contratto unico a tempo indeterminato, più volte emerso nel dibattito italiano sotto la forma, come richiama il documento, del progetto Boeri-Garibaldi, del modello francese (proposto Blanchard) e della versione avanzata da un centinaio di economisti spagnoli. Il filo comune è quello di un contratto «a tempo indeterminato, che non ha limiti ex ante» ma che, a differenza degli attuali contratti a tempo indeterminato, dispone di un periodo di ingresso «sufficientemente lungo» e un incremento graduale delle protezioni. Quali protezioni? Il documento della Commissione privilegia l’indennizzo monetario che «cresce con l’anzianità ». «Più alta è l’anzianità  del lavoratore maggiore è l’indennità  in caso di licenziamento», si spiega. Il rapporto di Bruxelles, che cita le «Employement guidelines del 2010» approvate dai capi di Stato e di governo dell’Unione, calcola che un lavoratore con un salario iniziale di 20 mila euro l’anno, dopo 16 anni, può contare su una indennità  di licenziamento di 50 mila euro.
Meno incertezza per le imprese e più assunzioni
Questo meccanismo, in sigla il «Soe», secondo la Commissione, oltre a favorire l’assorbimento dei lavoratori temporanei, aiutato da incentivi contributivi, favorirebbe la stabilità  e la produttività . Dal punto di vista delle imprese, inoltre, «ridurrebbe il livello di incertezza» grazie alla semplicità  del calcolo del costo dei licenziamenti e di conseguenza favorirebbe le assunzioni. Quanto ha a che fare questo progetto con il disegno di legge in arrivo del governo? Sembrerebbe poco. L’Italia infatti, per ora, ha rinunciato a graduare l’indennizzo con il periodo di lavoro limitandosi, almeno a vedere i documenti del governo, a prevedere un indennizzo modulabile dal giudice dai 15 ai 27 mensilità  di retribuzione. Con più costi per le imprese e vanificando la certezza degli oneri per il licenziamento.
La questione del reintegro: l’Europa non dice no 
E il reintegro? La Commissione seppure convinta che l’indennizzo sia la via migliore, non esclude affatto il reingresso. Anzi traccia tre possibili scenari legislativi: il primo è quello di «ridurre in modo consistente la protezione legale» (lasciandola intatta solo per la discriminazione) e affidare la protezione solo all’indennizzo monetario. E’ chiaro che in questa soluzione, scelta dall’Italia, hanno grande importanza politiche attive del lavoro e un meccanismo di flexsecurity che nel progetto del governo sembrano abbastanza deboli.
La seconda ipotesi suggerita, riguarda i paesi con una «alta» legislazione a protezione del lavoro (ci si riconosce l’Italia). La ricetta consigliata da Bruxelles, prevede che in questi paesi il contratto unico possa articolarsi in stadi successivi e mantenere intatte alcune protezioni: si parte con un periodo di prova con protezione legale minima, seguito dalla conferma e successivamente dal raggiungimento della stabilità  dove «il livello di protezione legale può essere quello previsto dalla legislazione del lavoro per i contratti a tempo indeterminato» (per l’Italia si tratterebbe del reintegro anche di fronte ad un licenziamento per motivi economici).
Una terza ipotesi prevede che le protezioni legali, cioè il reintegro, possano essere messe in atto anche prima della stabilizzazione, cioè fin dalla fase di conferma del lavoratore che segue il periodo di prova. 
Tre opzioni di fronte alle quali, sembra di capire, l’Italia ha scelto la più radicale. Con la scelta del contratto unico, infatti, Monti e Fornero avrebbero potuto ottemperare alle indicazioni dell’Europa mantenendo tuttavia intatti istituti come il reintegro per motivi economici (magari con l’attenuazione del noto modello tedesco).
Il doppio binario: l’art. 18 vale anche per i contratti in essere? 
Infine il problema degli attuali lavoratori a tempo indeterminato. Per loro vale o meno il nuovo articolo 18 senza reintegro per chi viene licenziato per motivi economici? Sembrerebbe che lo smembramento dell’articolo 18, nella ipotesi del governo, valga anche per i contratti in essere. Tuttavia il documento della Commissione sembra assai più morbido: il contratto unico, si dice, «sarà  applicato solo ai nuovi contratti e non a quelli già  firmati». Anzi per rendere più attrattivo il single open-ended contract, la Commissione propone incentivi rivolti ai lavoratori e alle imprese per abbandonare il vecchio contratto a tempo indeterminato e scegliere il nuovo contratto unico. Ma di questi suggerimenti dell’Europa la nuova flessibilità  italiana non sembra aver fatto tesoro.


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