La Svizzera tenta le imprese italiane: venite qui

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ZURIGO – Caccia alle piccole e medie imprese italiane. La Svizzera, in particolare due Cantoni, Ticino e Vallese, strizzano l’occhio ai titolari di aziende del centro-nord, interessati a delocalizzare nella Confederazione. In cambio offrono infrastrutture efficienti, assenza di intralci burocratici e sgravi fiscali. «A seconda del numero di posti di lavoro creati possiamo concedere un’esenzione dalle imposte che va dai 5 ai 10 anni», puntualizza Philippe Monnier, direttore della GGBa, ovvero della Greater Geneva Berne Area. E’ una struttura creata nel 2010 che cerca aziende italiane disposte a trasferirsi in un Cantone a scelta tra il Vallese, Berna, Vaud, Neuà§hatel, Ginevra e Friburgo. 
«I nostri rappresentanti vanno in Italia, spingendosi fino a Roma per sottoporre i vantaggi di un trasferimento nella Confederazione», spiega Monnier, al quotidiano di Ginevra, Le Temps. «Lo so, l’Italia ci accusa di praticare un marketing aggressivo, ma non saremo certo noi a distruggere il tessuto produttivo italiano». Fatto sta che già  80 piccole e medie imprese italiane si sono impiantate nel Canton Vallese tra il 2010 ed il 2011. 
Il marketing della CGBa non è ritenuto aggressivo solo oltreconfine ma anche nella stessa Svizzera, più in particolare nel Canton Ticino, che vanta una sorta di diritto di primogenitura nella politica di attrattività  per le aziende italiane. «Loro hanno il vantaggio di un territorio con maggiore spazio rispetto a noi», ammette Luca Albertoni, direttore della Camera di Commercio del Canton Ticino. Il quale, negli anni, ha saputo attrarre marchi quali Armani, Gucci, Zegna e Versace che hanno impiantato una parte importante della loro attività  tra Lugano e Chiasso. In totale 300 imprese italiane sono emigrate, al di là  della frontiera da quando, nel 1997, il Canton Ticino ha dato via al progetto Copernico che concede anch’esso importanti sgravi di imposte a chi dà  un contributo all’economia locale. 
A frenare l’entusiasmo per l’approdo elvetico non è bastato neppure il franco forte che ha ridotto gli utili di molte aziende svizzere. Anche per questo problema, sia in Ticino che nel Vallese, entrambi cantoni di frontiera, c’è una soluzione. Si assumono lavoratori frontalieri e, se possibile, li si paga in euro. «Legalmente si può fare, bisogna capire a che tasso si fissa il cambio», puntualizza il sindacalista, Saverio Lurati. Secondo il quale «molti di coloro che trasferiscono la loro azienda dall’Italia vogliono solo praticare dumping salariale, giocando sul cambio e sui salari bassi dei frontalieri. Di questi imprenditori non sappiamo che farcene», tuona Lurati.


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