La scomparsa del leader diventa un romanzo

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Era il 1998 quando Massimo Fusillo pubblicò L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio (Nuova Italia). Lo studio partiva da un verso di Euripide in cui l’eroe Menelao, sconvolto all’idea di aver sposato due donne, protesta: «Io non sono il marito di due mogli: sono un’unica persona, io!». Nel suo sconcerto, questa formulazione del principio di identità  porta il lettore a ripercorrere il tema del sosia e del doppio. Inutile dire quanto tale argomento sia stato sviluppato in ambito letterario (con Plauto, Poe, Kleist, Dostoevskij) e cinematografico. Dal gangster-movie al neorealismo, dalla commedia alla fantascienza, ecco sfilare Vertigo di Hitchcock e Totò e Cleopatra di Fernando Cerchio, Face/Off di John Woo e Il generale della Rovere di Rossellini, Kagemusha di Kurosawa e Il grande dittatore di Chaplin.
Per quanto breve, la parentesi può inquadrare il primo romanzo di Roberto Andò, Il trono vuoto (Bompiani, pagg. 234, euro 16). Nato a Palermo nel 1959, affermato regista di teatro di prosa, lirica e cinema, l’autore gioca con una sostituzione di persona risolta a livello politico, oltre che personale: infatti, a scomparire, è il capo del maggior partito d’opposizione italiano, un partito ormai sceso al 17% dei consensi rispetto a quello di un riconoscibilissimo Berlusconi. Amareggiato dai sondaggi, il segretario Enrico Oliveri si rifugia (come un tempo i brigatisti…) in un appartamento parigino. Ad accoglierlo è la sua antica amante Danielle, sposata con un regista.
Intanto, a Roma, la moglie Anna e il braccio destro di Oliveri, Bottini, cercano di nascondere l’inspiegabile assenza, rivolgendosi al fratello gemello del segretario. Filosofo appartato ma talentuoso, Giovanni Ernani è rimasto colpito da una forte depressione, che lo ha portato in un ospedale psichiatrico da cui è appena uscito. Il collaboratore di Olivieri lo incontra in un ristorante, e nella conversazione resta catturato dal suo carisma e dalla sua cultura, finché una chiamata al cellulare non lo costringe ad allontanarsi per qualche minuto. Ed ecco avverarsi il prodigio. Al suo ritorno, Bottini trova Ernani intento a rilasciare un’intervista: davanti a lui sta un giornalista convinto di aver scovato il segretario fuggiasco, e stupefatto dall’energia di cui questi dà  prova dopo mesi di opacità  e di indecisione.
Il gioco può cominciare. Giorni dopo, salito su un palco, Ernani continua la sua opera di incantamento, dimostrando di saper parlare un linguaggio inaudito, fatto di allusioni, aforismi, versi. Brecht, Eraclito, Hà¶lderlin, Talleyrand baluginano fra le pieghe di un’analisi lucida e intransigente. Basta questo per invertire l’equilibrio politico. Conquistati da una nuova “voce”, e specialmente da un nuovo rapporto con la “voce”, gli elettori riprendono a sperare, mentre il partito tocca quota 65%. Ma a questa irresistibile e insperata ascesa, si alternano i resoconti sull’esilio, la latitanza francese del “re”, il cui “trono vuoto” è stato riempito da una controfigura, seppure brillantissima. Tornato dalla donna amata in giovinezza (tanto da lui quanto dal suo gemello, con cui ha interrotto da anni ogni rapporto), Olivieri ritrova una dimensione anonima, al punto da accettare di lavorare come aiutoattrezzista nelle troupe del film che sta girando il marito di Danielle.
A questo punto, però, sarà  bene fermarsi. Basti dire che siamo di fronte a una treccia con molti capi: due fratelli, due donne, due fazioni politiche, due paesi, mentre su tutto spicca un’intensa vena saggistica, risolta nel tentativo di una riflessione antropologica sull’Italia e in particolare sul suo corrotto, depravato Meridione. «Favola filosofica sulla rifondazione della leadership in un paese malato», recita la quarta di copertina. E in effetti, malgrado un certo appesantimento nell’uso delle citazioni, il racconto è sostenuto da considerazioni di estrema acutezza. Lo provano le pagine su Fellini, «l’artista che con più forza ha cercato di impedire che ci si abituasse all’indecenza». Fedele all’insegnamento di un maestro come Sciascia, Andò ci riconsegna così la possibilità  di una letteratura nutrita di pensiero, nel segno di una riunione fra finzione e denuncia.


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