La rivolta della Sardegna “Chiudete i poligoni di tiro”
Mentre i piemontesi della Val di Susa non vogliono la Tav e nel resto d’Italia, secondo i dati dell’Osservatorio Nimby, altre 330 opere – dagli impianti per le energie rinnovabili alle discariche e alle tangenziali – vengono contestate dalle popolazioni e soprattutto dai politici locali, si riapre in Sardegna un caso che si trascina da più di mezzo secolo. Esattamente dal 1956.
Cioè da quando sul territorio dell’isola furono installate tre grandi basi militari per presidiare il fronte orientale della Nato ai tempi della «guerra fredda». Ma qui si tratta evidentemente di una questione di carattere strategico internazionale che appartiene ormai a un’altra epoca ed è già durata fin troppo, insidiando in questi cinquant’anni l’ambiente, la sicurezza e la salute dei sardi.
Con una mozione che verrà illustrata oggi in una conferenza stampa a Olbia, e quindi presentata nei prossimi giorni a palazzo Madama, il senatore del Pd Gian Piero Scanu intende ora chiedere al governo un «atto di indirizzo», per chiudere due dei tre poligoni di tiro ancora in funzione sull’isola: quelli di Capo Frasca e di Capo Teulada. Per l’altro, che è anche il più grosso, a Salto di Quirra, si propone il ripristino della sua destinazione originaria come luogo per la «ricerca tecnico-scientifica» e la sua riqualificazione ambientale.
Sono in totale 35 mila gli ettari occupati tuttora in Sardegna dalle servitù militari e dalle aree demaniali connesse: l’80 per cento del territorio italiano complessivamente riservato a questi scopi. E durante le esercitazioni viene interdetto alla navigazione, alla pesca e alla sosta uno specchio di mare di oltre 20 mila chilometri quadrati intorno all’isola, poco meno della sua stessa superficie. Rispetto alle altre Regioni di confine a statuto speciale, la Sardegna rappresenta da sola quasi il 60 per cento, contro il 31,6 del Friuli-Venezia Giulia, il 6,8 del Trentino-Alto Adige, lo 0,78 della Valle d’Aosta e lo 0,76 della Sicilia.
Nella mozione del senatore Scanu, si citano i risultati del recente progetto di riqualificazione ambientale per il poligono di Salto di Quirra: secondo la relazione conclusiva della Commissione tecnica, le indagini «hanno mostrato la sussistenza di reali impatti negativi sulle aree ad alta densità militare e zone adiacenti accanto ad ampie porzioni di territorio che non sembrerebbero interessate da significative contaminazioni». E anche in altri poligoni, come sostiene l’esponente politico sardo, «si sono verificate situazioni inaccettabili di grave degrado ambientale, come ad esempio nel poligono Delta presso il poligono di Capo Teulada, interdetto anche al personale della base e giudicato non bonificabile dalle autorità militari». Tutto ciò, conclude Scanu, «ha determinato gravi allarmi sociali a causa della percezione di rischi rilevanti per l’ambiente e la salute umana e animale limitando la possibilità di disegnare prospettive di sviluppo e di valorizzazione delle risorse di quei territori».
Oltre agli impegni assunti dal nostro Paese nell’ambito della Nato, risalgono alla stessa epoca anche gli accordi bilaterali Italia-Usa per installare in Sardegna avamposti militari gestiti direttamente ed esclusivamente dagli americani: la base dei sommergibili nucleari alla Maddalena (chiusa ufficialmente nel 2008) e quella militare di Cagliari. Ma questi atti furono assunti dai governi italiani senza neppure una votazione in Parlamento.
A metà degli anni Settanta, venne emanata una legge quadro sulle servitù militari che, fra l’altro, prevedeva l’istituzione di un Comitato tecnico paritetico fra il ministero della Difesa e la Regione interessata, quale organo consultivo per approvare le esercitazioni, le nuove installazioni militari e le relative servitù, valutandone la compatibilità con i piani di sviluppo territoriali. Dopo una serie infinita di dibattiti, impegni e polemiche, nel ‘90 fu approvata una nuova legge in forza della quale ogni cinque anni viene stilato un elenco delle regioni più oberate di servitù militari: il provvedimento contempla l’erogazione di un contributo annuo a favore dei Comuni, in rapporto ai rispettivi gravami, per finanziare opere pubbliche e servizi sociali. In base a un successivo Protocollo d’intesa, sottoscritto nel ‘99 dal presidente del Consiglio Massimo D’Alema e dal presidente della Regione Sardegna Federico Palomba, gli indennizzi sono riconosciuti non solo ai proprietari di immobili, ma anche ai pescatori danneggiati dalla sospensione forzata della loro attività .
Quanto agli impegni solenni sulle dismissioni, sulla nuova dislocazione delle servitù militari in altre regioni d’Italia e sulla ricerca di aree alternative dove trasferire parte delle attività di addestramento svolte attualmente nel poligono di Salto di Quirra, sono rimasti lettera morta. E perciò si può considerare tuttora valida la conclusione di Mario Melis, leader storico del Partito sardo d’Azione e poi presidente della Regione, nella Conferenza programmatica dell’aprile 1981: «L’italianità dei sardi si misura entro i limiti della sardità degli italiani».
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