LA RINASCITA DELLA POLITICA

by Editore | 3 Marzo 2012 14:35

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Secondo gli scettici della democrazia parlamentare, nei momenti di crisi radicale serve un forte esecutivo che risolva l’impotenza della deliberazione collettiva di decidere con celerità  e senza calcoli elettoralistici. In questi mesi di guerra dei mercati finanziari agli stati democratici, la politica è stata messa all’angolo. Il fatto poi che l’Italia abbia avuto per anni un governo a dir poco imbarazzante ha reso il silenzio della politica addirittura desiderabile. Ma la politica deve uscire dall’angolo e tornare a coprire il suo ruolo di governo della società  per mezzo della libera competizione di programmi e idee. In un’intervista rilasciata in questi giorni a Repubblica, Gustavo Zagrebelsky ha con chiarezza richiamato l’attenzione sulla provvisorietà  di questo tempo e l’urgenza di “riportare in onore la politica,” affinché le forze politiche non siano più ridotte “al mugugno o al mugolio” ma parlino, facciano proposte e sappiano rimettere il futuro, la progettualità , al centro del presente. 
La rinascita della politica vuol dire ripristino del linguaggio politico; ridare spazio al progetto di governo della società , non per l’oggi soltanto, e senza prostrazione a un’idea dominante che non tollera opinioni discordanti. È questa apertura al possibile che oggi non ha ossigeno. Perché le sfide che la incalzano parlano un solo linguaggio, quello della necessità . Sono almeno due le sfide più impegnative. La prima è quella che conosciamo con il nome di liberismo o neo-liberalismo. Nato insieme allo stato con funzione sociale e per combatterlo, ha nel tempo preso diverse conformazioni a seconda del tipo di stato sociale da limitare e del tipo di mercato da rafforzare. Il liberismo che governa oggi i paesi occidentali e che trova facile via di penetrazione attraverso la retorica dell’emergenza impersona il potere impersonale (il bisticcio è voluto) della finanza: detta regole agli esecutivi e ai parlamenti, non accetta trattativa o compromessi. È quanto di più lontano ci sia dalla politica democratica. Ed è questa la teologia della necessità  contro la quale la politica come governo del possibile si dimostra incapace di articolare un linguaggio altro dal “mugugno e mugolio”. La rinascita della politica non potrà  che partire di qui: dal rispondere a questa sfida, e saper dire come riportare i valori democratici al centro della progettualità , di quel che siamo e vogliamo essere come paese. Diceva Norberto Bobbio che nelle democrazie la sfida non sta tanto nella risposta alla domanda “chi” vota, ma “dove” si vota, cioè in quali ambiti di vita la ragione pubblica opera. La prima sfida alla politica sta in questa domanda: “Come rispondere a coloro che sostengono che le relazioni economiche non devono più sottostare alla ragione pubblica?”. 
La seconda sfida, conseguente alla prima, è quella che si materializza nella debolezza delle sovranità  nazionali. Le interconnesioni globali si sono così addensate che nessun governo ha da anni ormai la capacità  di progettare e programmare politiche nazionali e sociali senza coordinazione e cooperazione con altri governi. L’Europa è stata da questo punto di vista una creazione lungimirante. Il vecchio continente ha saputo intercettare con utopica prudenza l’esigenza di una politica sovrannazionale. Oggi, questa potenziale ricchezza rischia di essere dissipata o deturpata a causa dello sbilanciamento di potere economico e finanziario degli stati membri. La seconda sfida che la politica dovrà  affrontare sta in questa domanda: “È possibile un’unione tra partner che non sono equipollenti e quando alcuni dominano e tengono altri sotto tutela?”. Il problema è serissimo poiché vediamo che gli stati europei hanno idee discordanti su che cosa sia o debba essere l’Europa perché hanno un potere di decisione diverso. Un’unione tra diseguali non è un’unione. Riportare la politica al centro del governo europeo è urgente poiché di qui passa la rinascita della politica a livello nazionale. 
Sono queste le due grandi sfide alle quali la politica deve riuscire a trovare risposte. Un primo tentativo di rinnovamento è venuto dai movimenti che hanno preso il nome da “Occupy Wall Street”. Il loro linguaggio è stato quello, giustissimo, della protesta; ma al dissenso non è seguita nessuna domanda che lasciasse intravedere risposte credibili. Eppure, in quella idea di “comunità  globale” c’è un’intuizione importante poiché dalla capacità  delle società  democratiche di pensare in termini che vanno oltre i singoli stati dipenderà  la loro possibilità  di ridefinire il rapporto tra democrazia e capitalismo. Senza di che la prima non ha certezza e il secondo si fa selvaggio. Senza di che ci troveremo sempre in uno stato di emergenza, con la politica sospesa e governi ad interim permanenti. 
Un’indicazione sul percorso verso la rinascita della politica e la risposta a queste sfide ci viene dall’esperienza di questi mesi di governo di emergenza. Sappiamo ora con provata certezza che nessun diritto è sacrosanto e nessuna conquista è al riparo da cadute, anche quando incardinata nelle leggi e coerente al dettato costituzionale. Sappiamo che la democratizzazione che aveva elevato l’Europa del Secondo dopoguerra a stella polare di civiltà  può essere bloccata e cambiata nel suo significato. Sappiamo, in sostanza, che non tutti i cittadini e le cittadine, e poi non tutti gli stati, hanno eguale peso nel processo decisionale. Di fronte a questa incrinatura palese della democrazia l’assenza della politica è disarmante e rischiosa. Ma sapere da che parte si sta è già  un primo importante passo verso la rinascita.

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