La Repubblica bi-presidenziale dove il tecnico diventa leader e minaccia il consenso dei partiti

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Sulla scena politica italiana del nostro tempo si confrontano partiti senza leader (autorevoli) e un leader senza partiti. Quest’immagine è emersa nei primi quattro mesi del governo guidato da Mario Monti, e appare largamente confermata – e precisata – dal sondaggio dell’Atlante Politico di Demos, realizzato nei giorni scorsi.
1. La fiducia nel governo Monti, anzitutto. Espressa (con un voto pari o superiore al 6) da quasi il 62% del campione della popolazione. Il dato più alto dopo la fase di avvio, in novembre. Insieme all’auspicio, condiviso da circa 7 italiani su 10, che la sua attenzione non si limiti ai temi strettamente economici ma si allarghi a tutte le questioni importanti del Paese. Riforma elettorale, giustizia e sistema radiotelevisivo compresi. Il 27% degli intervistati, inoltre, vorrebbe che Monti, dopo le prossime elezioni, succedesse a se stesso. Indipendentemente dal risultato. 
2. Ancora più elevato è il grado di considerazione “personale” verso il Premier e i suoi ministri più conosciuti. Nella classifica dei leader, Monti è saldamente in testa, con il 67% di giudizi positivi (espressi con un voto pari o superiore a 6). Lo seguono (a debita distanza) i ministri Elsa Fornero (51%) e Corrado Passera (49%). Gli altri leader – istituzionali e di partito – sono dietro. Sensibilmente lontani. Bersani, Alfano, Di Pietro, Vendola, Casini e Fini. Tutti in calo, soprattutto gli ultimi due. (Un segno che il governo e Monti stanno occupando lo spazio del Terzo Polo.) In fondo alla classifica: Berlusconi e Bossi, i leader del precedente governo. Bossi, in particolare, è largamente sopravanzato da Maroni (40%). Nella popolazione. Ma anche nell’elettorato leghista. Tra gli elettori della Lega, infatti, il 50% valuta positivamente Bossi, il 73% Maroni. Segno che il peso di Maroni nella “Lega di opposizione” si è rafforzato ulteriormente.
3. Di certo, oggi è in crisi la legittimità  del “politico di professione” mentre si rafforza la credibilità  dei “tecnici”. Come Monti, appunto. Insieme ai suoi ministri. Oltre il 60% degli italiani, infatti, ritiene i tecnici più adatti a governare rispetto a “politici esperti”.
4. È interessante osservare come questi atteggiamenti risentano in misura – ancora – limitata delle valutazioni di merito, nei confronti di specifici provvedimenti. Che sollevano, in alcuni casi, grande insoddisfazione. In particolare, una larga maggioranza di persone si dice contraria a modifiche sostanziali dell’articolo 18. Ma ciò non è sufficiente a modificare in modo sostanziale il giudizio sul governo dei tecnici, sui tecnici e sul Tecnico per eccellenza. Monti. Almeno per ora. 
5. L’impopolarità  dei leader di partito riflette la – e si riflette nella – sfiducia nei partiti (solo il 4% del campione esprime “molta fiducia” nei loro confronti). Dal punto di vista elettorale, tuttavia, non si rilevano grandi variazioni negli ultimi mesi. Il PD si attesta circa al 27% e il PdL al 24%. Insieme arrivano al 50%. Venti punti meno che alle elezioni del 2008. La Lega si conferma al 10%, come l’UdC. L’IdV all’8%. Mentre SEL è più indietro, intorno al 6%. Avvicinata dal Movimento 5 Stelle di Grillo. L’unica opposizione davvero extra-parlamentare. Movimentista. La No Tav come bandiera. Forse anche per questo premiata, in questa fase. L’esperienza del governo Monti ha, dunque, congelato gli orientamenti elettorali, ma li ha anche frammentati. Complicando le alleanze – precedenti e future.
6. Il PD, che all’inizio aveva beneficiato dell’esperienza del governo Monti, ora sembra soffrirne. Più dei partiti della vecchia maggioranza di Centrodestra, in lieve ripresa, nelle stime di voto. Gli elettori del PD, d’altra parte, continuano a garantire un alto grado di consenso al governo Monti. (Ha il merito di aver “sostituito” Berlusconi). Tuttavia, nella percezione degli italiani, ha mutato posizione politica. Certo, la maggioranza degli elettori (57%) continua a considerarlo “al di fuori e al di sopra” degli schieramenti politici. Ma una quota ampia e crescente di essi (20%) lo ritiene prevalentemente orientato a centro-destra. 
7. Il PD risente, inoltre, del conflitto interno fra i partigiani dell’alleanza con le forze di Sinistra e i sostenitori dell’intesa con il Centro. Ma i suoi elettori appaiono turbati anche dalla tentazione di tradurre l’attuale Grande Coalizione di governo in un progetto più duraturo. Un’ipotesi che, tradotta sul piano elettorale, si fermerebbe al 47%. Cioè, circa 13 punti in meno rispetto ai consensi di cui sono accreditati i partiti dell’attuale maggioranza. Per contro, la Lega salirebbe al 19% e la Sinistra oltre il 33%. A pagare il prezzo più caro di questa ipotetica intesa sarebbe, appunto, il PD. Visto che oltre metà  dei suoi elettori si sposterebbe sulla coalizione di Sinistra oppure si asterrebbe. 
8. Non sorprende, allora, che, una “ipotetica” Lista Monti in una “ipotetica” competizione con gli attuali partiti, nelle intenzioni di voto degli intervistati, sia accreditata di oltre il 24% dei voti. Il che significa: il primo partito in Italia. Davanti al PdL, che, in questo scenario, otterrebbe il 19%. Il PD, terzo con il 18%, risulterebbe il più penalizzato. Perderebbe, infatti, oltre un quarto della base elettorale a favore della lista Monti. La quale, peraltro, intercetterebbe consensi trasversali. Ma, soprattutto, convincerebbe quasi un terzo degli elettori ancora incerti oppure orientati all’astensione. Sul totale degli elettori: circa il 10%. 
9. Naturalmente, si tratta di una simulazione. Influenzata, peraltro, dalla popolarità  di Monti in questo specifico momento. Conferma, però, lo scenario delineato all’inizio. Evoca, cioè, una Terza Repubblica che oppone Presidenti e Partiti (come suggerì, alcuni anni fa, Mauro Calise in un saggio pubblicato da Laterza). Mentre il Berlusconismo aveva imposto il modello del “Partito personale”, che oggi è in declino, insieme alla Persona che lo aveva incarnato. 
10. Il Montismo ne ha modificato sostanzialmente il modello. In particolare, nello “stile personale”: ha affermato la Tecnica e la Competenza al posto dell’Imitazione-della-gente-comume. L’aristocrazia democratica al posto della democrazia populista. Tuttavia, Monti non si può definire un Presidente “contro” i Partiti, perché i partiti (maggiori) lo sostengono. Anche se qualcuno scorge, alle sue spalle, l’ombra di un nuovo “Partito personale”, egli appare, in effetti, un “Presidente senza partito”. Legittimato dal “voto” dei mercati, dal “vuoto” della politica – e dalla conferma dei sondaggi. Ma anche dalla sua distanza dai partiti. Il che sottolinea l’ultimo paradosso post-italiano (per echeggiare Eddy Berselli). Una Repubblica dove coabitano due Presidenti forti, molti partiti deboli. E un Parlamento quantomeno fragile. Una Repubblica bi-presidenziale.


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