La primavera siriana schiacciata dopo un anno
Homs è caduta, schiacciata dai bombardamenti a tappeto, perché il suo martirio serva a terrorizzare l’intero Paese. Ieri anche Idleb è stata costretta alla resa; gli oppositori e i loro familiari sono braccati, votati alle torture e alla morte. Mentre dissemina mine lungo i confini con la Turchia, l’esercito attacca le città e le regioni non ancora colpite dai massacri. La notte scende sulla Siria, perché oramai quel popolo ha soltanto il suo eroismo e qualche misera pistola da contrapporre ai blindati che nessuna aviazione straniera verrà a neutralizzare. A meno che le minoranze cristiane, druse e curde depongano la loro neutralità ; a meno che si spezzi all’improvviso l’alleanza che hanno stretto con la minoranza alawita al potere, per evitare il predominio della maggioranza sunnita; a meno che d’un tratto, nel momento stesso in cui la forza trionfa, accada l’improbabile, l’insurrezione si spegnerà presto, e il mondo lo sa.
Il mondo lo vede, prostrato dall’impotenza e dalla vergogna, dato che non è indifferente, né complice di questo massacro. Al contrario, le grandi potenze non hanno mai smesso di gridare la loro indignazione. Gli Stati arabi, l’Europa, la Turchia, gli Stati Uniti e molti altri Paesi di tutti i continenti hanno denunciato quei crimini e decretato pesanti sanzioni economiche; hanno ostracizzato quella dittatura spietata, ma nessuno interverrà , né aiuterà gli insorti con forniture di armi, non previste perché – orribile a dirsi, ma è così – vi sono motivi reali per non farlo. Fornire armi a civili che non le hanno mai maneggiate non servirebbe a controbilanciare un regime armato fino ai denti, al quale per di più si offrirebbe il pretesto che cercava per moltiplicare i suoi crimini. A meno di voler ripetere l’avventura irakena, e di provocare una rottura in seno all’Onu, nessuna potenza può intervenire senza l’avallo del Consiglio di Sicurezza; e quest’avallo non sarà dato, perché Cina e Russia non vogliono che le Nazioni Unite prendano l’abitudine di andare a difendere un popolo in lotta per la sua libertà .
I siriani non possono sperare in un soccorso dall’esterno, e Bashar al-Assad lo sa benissimo, tanto che può completare in piena tranquillità la sua mattanza. Il suo regime ha effettivamente buone probabilità di superare quest’ondata. Ma poi?
Gli scenari possibili sono due. Secondo gli ottimisti, il dittatore siriano otterrà solo una vittoria di Pirro, dato che con le baionette si può fare di tutto, ma non sedervisi sopra. Odiato dal suo popolo, con le casse svuotate dalla guerra, potrà solo cadere come un frutto bacato, roso dalla tempesta. Magari.
Ma i pessimisti mormorano che innanzitutto il mondo dovrà pur finire per trattare con l’assassino di Damasco, visto che resterà al suo posto; cosa peraltro già preannunciata dai tentativi di mediazione rivolti a un capo di Stato nell’esercizio delle sua funzioni, per chiedere gesti di apertura e umanità : un po’ come domandare a un antropofago di apparecchiare la tavola.
Non lo sappiamo. Questi scenari sono entrambi plausibili, ma qualunque cosa accada nel breve termine, il popolo siriano, sia pure sconfitto, non dimenticherà il sangue versato per la libertà , né rinuncerà alle speranze che aveva destato. Anche perché in un anno tutto è cambiato. L’economia è crollata; e gli ambienti d’affari ricercano una soluzione politica che ne consenta il rilancio. Le minoranze si sono rese conto che non potranno governare in eterno contro la maggioranza. La Siria è in attesa del secondo round; e una generazione si è formata in questa battaglia. Dovrà forse passare molto tempo prima che riesca a vincere; ma chi avrebbe immaginato, un anno fa, che il mondo arabo avrebbe respinto i suoi potentati, e che la dittatura siriana, la più poliziesca e brutale di tutte, avrebbe subito scossoni tanto violenti?
Alla primavera araba è seguito l’inverno. Ma né la Storia, né la libertà avanzano d’un sol colpo. Lo si era visto in Francia, così come in Polonia e in Italia; lo si vede in Russia. La libertà prende slancio, retrocede sotto i colpi, stagna sotto il peso della reazione, ma una volta in marcia non si ferma. Riprende fiato, e finisce per prevalere.
Traduzione di Elisabetta Horvat
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