LA PAURA DI PERDERE

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E lo dimostra l’idea di tornare a un sistema sostanzialmente proporzionale, cancellando il vincolo di coalizione e assegnando un premio che non determina la maggioranza. Di fronte ad una instabilità , tipica degli ordinamenti e dei sistemi politici transitori, i tre principali partiti si adattano alla “corsa solitaria” e mirano a rimettere tutti ai nastri di partenza nella previsione che nessuno potrà  vincere da solo. Proprio come accadde nel 1946 con la legge elettorale per l’Assemblea Costituente e nel 1948 per la prima tornata parlamentare dopo la caduta del fascismo e l’entrata in vigore della Costituzione.
Una convergenza di interessi che consente al Pdl di limitare la probabile – almeno al momento – sconfitta senza precludere la possibilità  di ricomporre l’alleanza con la Lega dopo il voto. Nella consapevolezza, peraltro, di non avere un candidato premier sufficientemente forte e autorevole. Al Pd di mettere definitivamente in soffitta la cosiddetta “foto di Vasto” e l’alleanza con Vendola e Di Pietro. Bersani spera così di contare sulla chance di presentarsi per la presidenza del consiglio senza dover trattare con nessuno la sua premiership e predisponendo un patto successivo con il Centro di Casini. I centristi, invece, non saranno obbligati ad una scelta di campo preventiva, potranno confidare nel ruolo di ago della bilancia che i sondaggi gli assegnano sempre più e di coltivare il progetto di mantenere Mario Monti a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura (l’indicazione del premier non è prevista in Costituzione e quindi non sarà  obbligatorio rispettare le designazioni dei partiti). Senza dimenticare che subito dopo il voto, le Camere dovranno eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica e nel gioco delle trattative chi – come il Terzo Polo – sarà  determinante negli equilibri parlamentari potrà  avere più carte da spendere nella corsa al Quirinale. 
Insomma, tutti potranno fare la campagna elettorale in solitaria senza compromettere nulla. Perché tutto si gioca solo a urne chiuse. Anche l’eventuale riproposizione di una Grande Coalizione. E chi sa se anche per questo ieri Monti ha fatto sapere ai tre leader di aver apprezzato il buon esito del verttice. 
Ma il patto tra Alfano Bersani e Casini, deve superare due scogli che possono compromettere il loro delicato equilibrio: la riforma del lavoro e la giustizia. Il premier sa che il disegno di legge della Fornero rischia un’interminabile Odissea in Parlamento senza una mediazione con il Pd. E anche dentro il suo esecutivo, alcuni autorevoli ministri gli hanno fatto sapere che è indispensabile sanare il rapporto con il Pd e con la Cgil. Rispolverando il modello tedesco e il principio del reintegro troppo rapidamente archiviato. Mentre sul capitolo giustizia resta vagante la mina attivata da Silvio Berlusconi. Che ad ogni occasione reclama una precisa garanzia per il suo futuro. Questioni che il Professore dovrà  affrontare al ritorno dal suo viaggio in Estremo Oriente.


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Se Napolitano chiamasse Grillo a formare il governo

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Il blocco politico neoliberale che ha sostenuto il governo Monti ha subito una sconfitta cocente. Gli elettori hanno ribadito in modo chiarissimo quanto già  una maggioranza assoluta del popolo italiano aveva detto con i referendum del giugno 2011: valorizzare i beni comuni e ristrutturare in modo democratico e partecipato il settore pubblico; emanciparsi dalla dipendenza anche psicologica dalle grandi opere e dalle energie non rinnovabili; lottare contro i privilegi del ceto politico.

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