La Lega arroccata in difesa

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MILANO – Boni non si tocca. E’ stato questo l’esito piuttosto prevedibile del vertice che si è tenuto ieri in via Bellerio. Bossi, Maroni e Calderoli hanno ascoltato il presidente del consiglio regionale lombardo indagato per corruzione e hanno ribadito la linea celodurista del Carroccio. Massima fiducia all’uomo di punta in Regione e nessun passo indietro. 
Boni in cambio si è impegnato a riferire martedì prossimo davanti al consiglio regionale la sua versione dei fatti. «Nel corso della riunione – si legge in una fredda nota della segreteria leghista – è stata eseguita un’accurata verifica della documentazione contabile della Lega Nord ed è stato appurato che, nel periodo dal 2005 al 2010, nell’elenco delle oblazioni volontarie ricevute a bilancio, da società  o da privati, non figura nessuno dei nominativi emersi in questi giorni nelle varie indiscrezioni apparse sugli organi di stampa. Da questa verifica è dimostrato che la Lega Nord è completamente estranea a qualsiasi tipo di illazione al riguardo». Dunque, nessuna tangente per finanziare il partito. 
Ma dietro alla difesa ad oltranza non è difficile intravvedere il disagio di un partito che ha fatto del «buon governo» dei suoi amministratori (non ladri) una bandiera da sventolare sotto il naso anche degli ex alleati del Pdl. A questo punto però i leghisti si trovano nella stessa condizione dei colleghi pidiellini con i quali continuano a sostenere il barcollante sistema di potere di Roberto Formigoni. 
Mal comune mezzo gaudio. E infatti i berlusconiani fanno a gara a chi è più solidale con il Carroccio. Uno per tutti. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano: «Se viene dimostrato che c’è un attacco politico alla Lega, noi dobbiamo sostenerla. È un nostro alleato». Intorno alle tangenti la maggioranza che governa la Lombardia sembra ritrovare unità  dopo le bordate di Bossi che minacciava di far crollare tutto perché «al Pirellone ne arrestano uno al giorno». Adesso che nel mirino dei pm è finito un leghista doc i padani la buttano in politica e gridano al complotto. L’ipotesi è semplice: siccome la Lega è l’unico partito all’opposizione, e siccome si avvicinano le elezioni amministrative, ecco che scatta la gogna mediatica scatenata dalle veline sfuggite dalle procure. E comunque, per dirla con le parole del prode Matteo Salvini: «Chi mette le mani nella marmellata deve avere più paura del movimento che della magistratura». 
Anche il più «dissidente» e disinvolto dei maroniani, il sindaco di Verona Flavio Tosi, non può fare a meno di richiamarsi al verbo: «Il periodo, a poco dalle elezioni, farebbe pensare a quel modo di fare che sotto campagna elettorale attiva certe inchieste che poi finiscono nel nulla». Detto questo però è l’unico dirigente a far trasparire un certo imbarazzo nella compagine leghista: «Se Boni facesse un passo indietro con questo quadro accusatorio poco chiaro sarebbe un gesto da signore. Però occhio a non trarre conclusioni affrettate». 
Il diretto interessato ieri ha continuato a fare il suo lavoro. Davide Boni dopo un saluto alle donne per l’8 marzo ha presieduto una riunione boicottata dalle opposizioni che ne chiedono le dimissioni. Poi si è chiuso nel suo ufficio prima di andare a rapporto da Bossi e Maroni in via Bellerio. 
Chi invece non può più parlare di complotto dei magistrati è Roberto Formigoni. «La magistratura sta facendo il suo dovere – ha detto – ma c’è una attenzione morbosa da parte dei media, assolutamente sproporzionata. La strumentalizzazione da parte della stampa e dei potentati finanziari ed economici dimostra che stiamo governando bene, e questo dà  fastidio a molti». Sembra la linea difensiva di un politico disperato.


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