LA GUERRA DIMENTICATA

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E invece gli F-16 e i droni israeliani sono decollati verso Gaza, per colpire in modo ancora più devastante obiettivi che già  prendono di mira a giorni alterni, spesso senza neppure la motivazione dei lanci di razzi palestinesi. Fanno il «loro dovere» i piloti israeliani e, intanto, si addestrano per missioni più audaci, sulla rotta di Tehran. I comandanti militari da parte loro si compiacciono per «la precisione» dei lanci di missili e bombe su Gaza. Poco importa se ogni tanto ci scappa il «danno collaterale», qualche civile innocente ucciso. Ormai chi si ricorda più dei pescatori palestinesi cacciati indietro dalle motovedette israeliane che entrano ed escono dalle acque di Gaza? Chi si cura delle migliaia di contadini della Striscia che non possono coltivare i campi all’interno della «zona cuscinetto» imposta da Israele? Vittorio Arrigoni ci raccontava tutto questo ogni giorno. Una mano assassina lo ha fermato. 
Ci sono voluti 15 morti per far tornare l’attenzione sulla prigione a cielo aperto di Gaza e il suo milione e mezzo di detenuti-abitanti. E con essa la questione palestinese offuscata dalle rivolte arabe, dimenticata dai «fratelli arabi» e messa in soffitta dall’Amministrazione Usa. Appena qualche anno fa si diceva che solo la fine dell’occupazione israeliana dei Territori avrebbe portato la pace in Medio Oriente. Oggi solo gli attivisti internazionali non dimenticano i palestinesi. I primi ministri e i presidenti dell’Occidente fingono di non vedere, di non sapere. E si è affievolita pure la denuncia del governo di Hamas, anch’esso prigioniero a Gaza, intento a godersi il nuovo status che ha conquistato nella regione. Tace, colpevolmente impotente, il presidente dell’Autorità  nazionale palestinese Abu Mazen. E’ solo un ricordo sbiadito il sussulto che provocò tra la sua gente chiedendo (invano) lo scorso settembre all’Onu il riconoscimento dello Stato di Palestina, incurante dell’opposizione di Usa e Israele. Dopo è stato solo silenzio. I suoi sponsor occidentali ora lo ammoniscono dal riconciliarsi con Hamas, pena l’isolamento e la perdita delle donazioni internazionali. E dalla Casa Bianca gli fanno sapere di non aspettarsi passi americani in Palestina fino alle presidenziali. Perché, dopo, ci saranno?LA GUERRA DIMENTICATAEDITORIALE – MICHELE GIORGIO 

«Non possiamo aspettare oltre», spiegava qualche giorno fa alla Casa Bianca il premier israeliano Netanyahu, giunto a Washington per strappare a Barack Obama il via libera ad un attacco aereo contro le centrali nucleari iraniane. E invece gli F-16 e i droni israeliani sono decollati verso Gaza, per colpire in modo ancora più devastante obiettivi che già  prendono di mira a giorni alterni, spesso senza neppure la motivazione dei lanci di razzi palestinesi. Fanno il «loro dovere» i piloti israeliani e, intanto, si addestrano per missioni più audaci, sulla rotta di Tehran. I comandanti militari da parte loro si compiacciono per «la precisione» dei lanci di missili e bombe su Gaza. Poco importa se ogni tanto ci scappa il «danno collaterale», qualche civile innocente ucciso. Ormai chi si ricorda più dei pescatori palestinesi cacciati indietro dalle motovedette israeliane che entrano ed escono dalle acque di Gaza? Chi si cura delle migliaia di contadini della Striscia che non possono coltivare i campi all’interno della «zona cuscinetto» imposta da Israele? Vittorio Arrigoni ci raccontava tutto questo ogni giorno. Una mano assassina lo ha fermato. 
Ci sono voluti 15 morti per far tornare l’attenzione sulla prigione a cielo aperto di Gaza e il suo milione e mezzo di detenuti-abitanti. E con essa la questione palestinese offuscata dalle rivolte arabe, dimenticata dai «fratelli arabi» e messa in soffitta dall’Amministrazione Usa. Appena qualche anno fa si diceva che solo la fine dell’occupazione israeliana dei Territori avrebbe portato la pace in Medio Oriente. Oggi solo gli attivisti internazionali non dimenticano i palestinesi. I primi ministri e i presidenti dell’Occidente fingono di non vedere, di non sapere. E si è affievolita pure la denuncia del governo di Hamas, anch’esso prigioniero a Gaza, intento a godersi il nuovo status che ha conquistato nella regione. Tace, colpevolmente impotente, il presidente dell’Autorità  nazionale palestinese Abu Mazen. E’ solo un ricordo sbiadito il sussulto che provocò tra la sua gente chiedendo (invano) lo scorso settembre all’Onu il riconoscimento dello Stato di Palestina, incurante dell’opposizione di Usa e Israele. Dopo è stato solo silenzio. I suoi sponsor occidentali ora lo ammoniscono dal riconciliarsi con Hamas, pena l’isolamento e la perdita delle donazioni internazionali. E dalla Casa Bianca gli fanno sapere di non aspettarsi passi americani in Palestina fino alle presidenziali. Perché, dopo, ci saranno?


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