La Grecia resta appesa alle banche

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Per un portavoce del governo di Atene, «tutto andrà  bene, le informazioni che abbiamo sono positive». Secondo il commissario agli affari economici e monetari, Olli Rehn, «l’operazione dovrebbe svolgersi senza incidenti». Oggi alle ore 21 arriva la temuta scadenza: le banche private, che hanno un’esposizione di 206 miliardi di crediti verso la Grecia, devono dire se accettano o meno l’operazione di scambio tra i vecchi titoli, svalutati, contro le nuove obbligazioni. La scadenza vale per l’88% dei 206 miliardi, cioè per le obbligazioni di diritto greco. Per il rimanente, c’è tempo fino all’11 marzo.
Ma il tempo stringe: il 20 marzo la Grecia deve restituire 14,5 miliardi di euro e senza accordo con i privati, che apre l’attuazione del secondo piano di aiuti pubblici, non avrà  i soldi. Per le banche private, significa accettare di perdere il 53,5% del totale prestato, un hair cut che, alla fine, diventerà  del 73%, a causa della scadenza più lunga dei nuovi titoli e dei tassi di interesse più bassi. L’operazione, secondo Olli Rehn, «resta interessante economicamente per il settore privato», che, senza accordo, perderebbe tutto. Le Borse ieri hanno tirato un po’ il fiato, ma martedì’ la sfiducia in un esito positivo era talmente grande che c’è stato un crollo generalizzato. 
La suspense durerà  fino all’ultimo. Ieri, c’era la certezza di uno scambio fino al 58% del debito. Trenta banche, assicurazioni e fondi hanno accettato, tra essi Allianz, Commerzbank, Crédit Agricol, Axa, Bnp, Socgen, Deutsche Bank, Groupama, Hsbc, Ing, Royal Bank of Scotland e gli italiani Intesa San Paolo, Unicredit e Generali.
Le sei principali banche greche sono pronte allo scambio, ma da Atene è arrivato un segnale valutato come preoccupante dallo stesso governo: due casse pensionistiche, quella dei giornalisti e quella dei poliziotti, hanno rifiutato di partecipare (per un totale di 2 miliardi di euro). Molti aspettano l’ultimo momento, per valutare come agire. 
L’accordo con le banche private è indispensabile per dare il via libera all’attuazione del secondo piano di aiuti di 130 miliardi di euro varato dalla troika. Ue, Fmi, Bce sperano che tra le banche private ci sia un tasso di adesione «volontario» all’accordo intorno al 90-95 per cento. Molto più probabilmente, il tasso di partecipazione sarà  più basso, sostengono gli analisti, tra il 75 per il cento e il 90. Se questo sarà  lo scenario domani sera, la Grecia sarà  obbligata a trattare di nuovo con la troika, perché a quel punto il piano di 130 miliardi non sarà  più sufficiente. La Grecia potrebbe essere costretta a ricorrere alle Clausole d’azione collettiva (Cac), un dispositivo che il parlamento di Atene ha approvato qualche settimana fa. Significa rendere coercitiva l’adesione al piano per le banche e le assicurazioni private, con l’obiettivo di raggiungere il 95 per cento di adesioni. Ma il ricorso alle Cac verrà  considerato dai mercati come un «avvenimento di credito», cioè farà  scattare il pagamento dei Cds (Credit default swaps), l’assicurazione contro il fallimento dello stato.
In altri termini, per la Grecia sarà  il fallimento, anche se pilotato. L’episodio rappresenterà  un precedente estremamente pericoloso per tutta la zona euro, riaprendo il baratro del contagio agli altri paesi troppo indebitati, che nelle ultime settimane sembrava essersi allontanato un po’. Se il tasso di adesione al piano di scambio delle banche private sarà  intorno al 90%, il governo greco potrebbe cercare di evitare di applicare il metodo coercitivo delle Cac, ma a quel punto i partner dell’eurozona saranno costretti ad aumentare il montante del secondo piano di aiuti. Tutti sperano che venga evitato lo scenario nero: un tasso di adesione al di sotto del 75%, che impedirebbe di portare a termine il piano di salvataggio di Atene. Allora la Grecia farebbe default in modo disordinato, causando un terremoto più grave di quello generato dal crollo della Lehman Brothers nel 2008. La Grecia rimarrebbe sola con i suoi 350 miliardi di debito, che già  le sono costati l’imposizione del memorandum che sta dinamitando il diritto del lavoro e la coesione sociale.


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