La grande caccia al tè rosso del Sudafrica

by Editore | 23 Marzo 2012 8:36

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Da più o meno dieci anni in tutto il mondo si beve un infuso che i Khoisan, i neri primi abitanti della regione del Capo che sarebbe diventata parte del Sudafrica, sorseggiano da sempre: il rooibos (Aspalathus linearis). Si tratta di un tè rosso dal sapore intenso e dalle rare virtù medicinali che per la sua bontà  e le sue proprietà  rilassanti è finito in sale da tè e scaffali di supermercati di mezzo mondo, e ora sta diffondendosi anche in Italia: ma cresce solo in Sudafrica. Hanno provato a ripiantarlo in Australia, Cina, Stati Uniti, senza riuscirci. La Nestlé ha tentato di brevettarne l’uso per una quantità  di prodotti alimentari, medicinali e cosmetici – da composizioni anti-infiammatorie contro la gotta o l’artrite reumatoide, a bevande, dentifrici e rossetti – monopolizzando la sapienza ancestrale dei Khoisan e le risorse biologiche indigene. Un atto di «bio-pirateria», hanno protestato gli avvocati delle comunità  locali.
Peccato che il successo planetario del più apprezzato tè sudafricano pare che abbia il destino segnato. La piantina che cresce solo in una zona del Western Cape, il Suid Bokkeveld, a 200 chilometri dalla Città  del Capo, è alle prese con i cambiamenti climatici. Già  tra vent’anni di tè rosso ce ne sarà  assai meno. «È un arbusto endemico in questa zona del Sudafrica. Però nel giro di 100 anni rischia di scomparire a causa della siccità  che incombe su queste terre», osserva Willem Engelbrecht, uno dei noti coltivatori dell’infuso.
E pensare che solo un secolo fa il signor Benjamin Ginsberg, origine russa trapiantato in Sudafrica, commerciante di tè, s’imbatté nelle piantine cui avrebbe regalato fama mondiale. Piantine che alla fine dell’autunno si raccolgono in fasci, battute con un apposito attrezzo simile ad un pestello, e fermentate da 8 a 24 ore così da prendere quel colore rosso caldo. È così che, nel 1904, Ginsberg aveva notato che i Khoisan lo raccoglievano. Lo trovò squisito e cominciò a coltivarlo e venderlo, ma in dose minime. Fu molto più tardi che i suoi tentativi di raccolta su vasta scala andarono a buon fine e il rooibos divenne il tè rosso di tutto il Sudafrica. Solo molti anni dopo si aprirono le porte dell’Europa e dell’America.
«La terra tende a inaridirsi e le piante ne soffriranno ogni anno di più», si lamenta Jan Fryer, coltivatore diretto, pensando anche alle sorti del popolo di raccoglitori del rooibos: 4500 persone, povere in canna, con un mestiere in gran parte fatto a mano. «La capacità  sia dell’uomo sia delle piante di cambiare per adattarsi ai cambiamenti climatici è essenziale anche per dare da mangiare agli uomini», aggiunge.
Il rooibos, che non contiene caffeina e teina, ha proprietà  benefiche. Unica fonte nota del flavonoide aspalatina, contiene fosforo, zinco, vitamina C, magnesio. Antiossidante e ricca di quercetina e luteolina, combatte malattie cardiovascolari e alcune forme di cancro. Ha un colore ambrato, con un contenuto minimo di tannino. E, soprattutto, l’infuso è protetto dalla legge sulla biodiversità : quando il colosso Nestlé ha tentato di assicurarsene lo sfruttamento, si è messo di traverso persino il Dipartimento dell’agricoltura per preservare la bevanda dei Khoisan. Che si dissetavano così nelle regioni aride, con temperature che di notte arrivavano a zero gradi e di giorno anche oltre i 50. Ora si tratta di trovare delle soluzioni perché i Khoisan e il rooibos sopravvivano. Come dice Fryer: «Non abbiamo scelta: ascoltiamo che cosa dice la Terra, oppure sarà  la fine».

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