La dura vita dei detenuti condannati per mafia. E a pagare sono i figli
MILANO – Sull’onda emotiva provocata dagli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dal 1992 è stato creato un “regime differenziato” per l’ottenimento dei benefici penitenziari. Si sono stabilite cioè delle limitazioni e degli obblighi per coloro che sono condannati per delitti di particolare gravità , indicati all’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario: mafia, organizzazione terroristica, rapina aggrava ecc. E’ il tema affrontato questo mese dal mensile Terre di mezzo nel numero di aprile.
Nel loro caso il 4 bis determina un “trattamento diverso” rispetto agli altri ristretti. E a subirne le conseguenze sono soprattutto i loro bambini. Se infatti il figlio di un detenuto è condannato a essere inesorabilmente “figlio di un dio minore”, lo sarà doppiamente se quel genitore ha commesso un reato previsto dal 4 bis. Come illustrano bene le testimonianze di due donne detenute alla Giudecca, a Venezia. “Ho atteso 20 mesi prima di parlare con i miei figli e i miei genitori che vivono in Albania -racconta Mimoza-. Mi sono permesse solo due telefonate al mese e dopo più di un anno e mezzo che non sentivo la loro voce, poterli chiamare è stata un’emozione fortissima. Non ero più abituata a sentirmi chiamare mamma, e non è stato facile”. Poco il tempo, molte le cose da dirsi. “Mi pareva di avere appena iniziato quando l’agente mi ha detto passate ai saluti -prosegue Mimoza-. Mia madre mi stava spiegando che cosa era accaduto in quei venti mesi e non mi ero resa conto che i minuti erano volati. Non ricordo cosa abbia detto io e cosa loro, ma mi sembra di non essere riuscita a parlare di nulla in quei dieci minuti: sono così pochi, soprattutto per quelli come me che hanno la famiglia tanto lontana”.
Altrettanto toccante il racconto di Luminita. “Per due anni ho fatto quattro telefonate al mese, nonostante fossi in regime di 4 bis. Nei tre istituti dove ero stata reclusa, infatti, si erano sbagliati. Poi un giorno, se ne sono accorti e mi hanno tolto le due chiamate di ‘troppo’. Ma che cosa potevo dire a quel punto a mio figlio che ha 12 anni? Che avevano fatto una legge nuova per cui non potevo più chiamarlo ogni sabato ma solo due volte al mese? E poi che cosa riuscirò mai a chiedere a mio figlio in venti minuti al mese? Forse solo come stai, come vai a scuola, e poco altro. E lui, come ha fatto oggi, mi risponderà : ho capito che sei in carcere, approfitta di questi pochi minuti, non voglio più sentirti piangere…”.
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