La disfatta di Rahul il figlio di Sonia l’italiana “punito” alle elezioni

by Editore | 7 Marzo 2012 9:27

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LUCKNOW – Un nuovo Yuvraj, il “Figlio del Re”, è stato incoronato ieri nel più popoloso Stato dell’India, l’Uttar Pradesh. Si chiama Akhilesh Yadav, e ha 39 anni, due in meno dello Yuvraj indiano per eccellenza, Rahul Gandhi. Il novello principe della politica indiana ha vinto a man bassa oltre la metà  dei seggi dell’Assemblea regionale, sbaragliando ogni avversario e piazzando una grande ipoteca sul prossimo governo dell’India. A lanciarlo in politica come paladino di una bassa ma facoltosa casta di pastori diventati proprietari terrieri è stato suo padre Mulayam, 72 anni, fondatore del Partito socialista Samajwadi, già  tre volte capo ministro e destinato ora a esserlo di nuovo. I due Yadav hanno letteralmente travolto dopo cinque anni di opposizione la base elettorale del partito fino a ieri al potere, il BSP, guidato da un’altra testa coronata degli emarginati e negletti, la Regina dei Fuoricasta dalit Mayawati Kumari.
Con la metà  dei voti persi, più di 100 seggi in meno, è stata lei e non Rahul la grande sconfitta del voto di ieri. Ma lo scivolone del rampollo di casa Gandhi (ben sotto alle aspettative con appena 40 seggi conquistati) nei giorni della polemica Italia-India per la vicenda dei marò arrestati ha fatto più rumore del crollo storico dell’unico regime guidato da una dalit in India. 
Mayawati ha regnato a fasi alterne per 4 mandati ed è diventata celebre costruendo ovunque a Lucknow e dintorni decine di statue per celebrare sé stessa e gli eroi della sua gente, ciabattini, pulitori di fogne, braccianti, portatori di risciò a pedali. Molti la conoscono anche per essersi presentata ai comizi ingioiellata davanti a folle oceaniche e adoranti (“se una donna di casta alta porta i diamanti, perché no una Intoccabile come me?”, ripeteva), ma ieri non si è fatta né sentire né vedere. 
Non c’era un’anima davanti alla sede del suo partito, mentre di fronte al Samajwadi Party della famiglia Yadav migliaia e migliaia di giovani danzavano fino a notte come indemoniati, con le tuniche bianche e il berretto gandhiano tinto di rosso, simbolo della fede socialista e il resto del corpo imbrattato di verde, il colore della campagna stampato in basso sulla bandiera del Partito. Nella furia delle celebrazioni si è scatenata anche la violenza repressa delle gang di sostenitori degli Yadav dalla fedina penale dubbia (oltre 50 tra gli stessi nuovi parlamentari eletti nel Samajwadi hanno avuto guai con la giustizia). Diversi giornalisti sono stati feriti, le loro telecamere rotte, e un bambino è stato ucciso dal proiettile vagante sparato da un manifestante esaltato dalla vittoria.
Deserta era anche la sede del Partito del Congresso di Nuova Delhi, che pure ha vinto 8 seggi rispetto al passato, ma ha perso la fede nella “magia” di Rahul e del suo cognome. Lo stesso numero di poltrone è infatti andato in fumo in un colpo solo nella circoscrizione storica della famiglia Gandhi ad Amethi e Rae Bareli, dove sono stati eletti i leggendari Nehru, Indira e Rajeev, e dove ora sopravvivono solo 2 dei 10 seggi conquistati nella precedente campagna dalla madre di Rahul, la piemontese Sonia.
Qualcuno ha messo in connessione le origini italiane di Rahul con il clima negativo creato contro il nostro Paese dal caso dei due pescatori uccisi al largo del Kerala. Ma la sconfitta subita nell’Uttar Pradesh dal Congresso ha poco a che fare con la sua nazionalità . In questo Stato poverissimo Rahul è piombato come un alieno quasi sempre a bordo di un elicottero, e ha tenuto comizi in oltre 200 villaggi, anche se spesso prima di tornarsene a Delhi ha dormito e mangiato nelle catapecchie dei dalit per convincerli ad abbandonare la “regina cattiva” Mayawati, che – diceva – prendeva i soldi del governo centrale e “ci ingrassava l’elefante”, simbolo del Partito BSP. 
I sofisticati e progressisti Gandhi dovranno ora fare i conti con i ruvidi pastori socialisti che hanno raccolto non solo il voto della loro casta, ma anche quello di etnie e minoranze d’ogni censo e religione, compresa gran parte della comunità  musulmana che conta per il 18 per cento. Si vedrà  presto se i due Yuvraj – sfidatisi finora con grande fair play – saranno alleati o nemici nelle elezioni per il prossimo Parlamento e per il governo previste nel 2014. Il quarantenne Rahul che ha studiato nel college di Harvard è ancora teoricamente il candidato ideale alla poltrona di primo ministro, ma dopo il voto di ieri molto dipenderà  dal suo coetaneo di campagna educato in Australia, col quale Rahul ha ben poco in comune, se non il destino di rappresentare le nuove generazioni della politica indiana.

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