La conversione ecologica a Rio +20

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Dopo la prima conferenza internazionale sull’ambiente umano (Stoccolma, 1972), gli effetti negativi evidenti dell’industrialismo e dello sviluppo lanciato dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman nel 1949, veicolato soprattutto dalla Banca Mondiale, spingono le Nazioni Unite a commissionare il rapporto noto con il nome della coordinatrice Gro Harlem Brundtland in cui fa il suo esordio lo sviluppo sostenibile. Vale a dire un modello capace di soddisfare i bisogni dell’umanità  di oggi senza compromettere le possibilità  delle generazioni future unendo tre fattori: protezione ambientale, crescita economica e equità  sociale. Al summit di Rio del 1992 partecipano i leader mondiali ed è il punto massimo d’interesse per la “questione ambientale”. Nonostante il peggioramento dello stato di salute del pianeta, geopolitica e crisi finanziarie ripetute tolgono alle politiche ambientali la centralità  conquistata negli anni ’70-’90. Rio ’92 formalizza le convenzioni sul clima e sulla biodiversità  e promuove l’Agenda 21, un piano locale e globale, ma sono le Organizzazioni non governative a indicare le cause del degrado nei “Trattati” alternativi elaborati durante il Global Forum parallelo al vertice ufficiale: il libero mercato, il debito estero del Terzo Mondo, gli aggiustamenti strutturali imposti dal Fondo Monetario, la proprietà  intellettuale monopolizzata, le politiche del G7 e della Banca Mondiale, l’accordo per il commercio (Gatt), l’attività  predatoria delle multinazionali. È caduto il rispetto per la vita e la società  umana è impoverita spiritualmente, scrivono, ed è necessaria una continua pressione civile per rimuovere chi insiste in politiche che producono devastazione sociale ed ecologica. Quando inizia il vertice Onu di Johannesburg (2002) la società  consapevole si è mossa e a Seattle e Porto Alegre è emerso un movimento planetario no-global e socio-ambientale. La decrescita conviviale indica percorsi di vita durevoli. La crisi finanziaria degli ultimi anni muta il linguaggio e lo sviluppo sostenibile mai operativo diventa green economy. Gli studi dei centri di ricerca ecologica e la realtà  di tante buone pratiche adottate dai cittadini, le attività  verdi di imprese e di amministratori hanno dimostrato che si può produrre e vivere con modelli di benessere che rispettano la natura. La green economy sembrava la soluzione giusta che i governi avrebbero adottato per superare l’ultima crisi ma la formula sta facendo la stessa fine dello sviluppo sostenibile. È sempre più vero il giudizio di Aurelio Peccei, fondatore del club di Roma: non si possono trovare soluzioni ai problemi usando lo stesso sistema concettuale che li ha provocati. I rimedi arrivano da altri sguardi, altre percezioni, altri modi di pensare. Una conversione ecologica secondo Alexander Langer, piuttosto. Vent’anni dopo Rio ’92 ancora una volta le Ong indicano percorsi più aderenti alla realtà : «Non abbiamo tutte le risposte ma abbiamo la responsabilità  di cercarle, desiderarle e renderle possibili… La logica dell’economia non è creare profitti ma assicurare condizioni di vita dignitose per le popolazioni».


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