La conferma di un asse con un premier diviso tra forze sociali e Ue

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Le parole dette ieri dal presidente della Repubblica non vanno lette come il sigillo su un’intesa che oggi il premier, Mario Monti dovrà  solo formalizzare. Semmai, si tratta dell’estremo tentativo di piegare rigidità  che rendono l’epilogo incerto: al punto che in serata Monti e il ministro del Welfare hanno incontrato Napolitano; e poi, informalmente, la Fornero ha visto Cgil, Cisl e Uil.
L’ottimismo di Palazzo Chigi si deve alla convinzione che esistano le premesse per il sì; e dalla determinazione a presentarsi in Parlamento con o senza il sostegno di tutte le parti sociali. Il vincolo esterno europeo è additato come una sponda obbligata. Ma organizzazioni come la Cgil subiscono pressioni fortissime dal proprio interno. Basta citare lo sciopero di due ore già  indetto dalla Fiom contro la modifica dell’articolo 18, quello sui licenziamenti; o, sul versante opposto, lo scontento di Confindustria.
Sono tensioni che finiscono per scaricarsi sui partiti. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, concede che un accordo generale «è meglio perché non dobbiamo strappare il tessuto sociale». Però va scongiurata «la paralisi, perché questa è un’occasione irripetibile». Pd e Udc sono d’accordo, seppure con qualche distinguo. Ma le forze che puntano sul fallimento della trattativa alzano i toni. Vale per l’Idv e per la Lega.
L’ex ministro Maroni critica la concertazione perché ridurrebbe il Parlamento «a una comparsa». D’altronde, le opposizioni non vogliono la consacrazione politica di Monti ma il suo logoramento. L’appello di Napolitano, però, implica la volontà  di fare il possibile per non lasciare nessuno fuori; e per impedire manovre contro Palazzo Chigi. «Mi aspetto», ribadisce, «che anche le parti sociali intendano che è il momento di far prevalere l’interesse generale su qualsiasi interesse o calcolo particolare».
È significativo che il capo dello Stato parli non solo di interesse ma di «calcolo». Evidentemente, teme la tentazione di sottrarsi all’accordo, magari per utilizzare il «no» a fini interni. «Sarebbe grave», ammonisce. Un supporto inatteso a Napolitano viene dal presidente della Cei, Angelo Bagnasco. Il capo dei vescovi denuncia i «no pregiudiziali» e invita a non guardare «ogni novità  con sospetto». Parla della sua Genova, ma il discorso si applica bene anche all’Italia: tanto più nel decimo anniversario dell’assassinio del giuslavorista Marco Biagi da parte delle «Nuove Br».


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