La Cgil va allo sciopero generale Camusso: “Bugie sull’articolo 18” e parte il pressing sul Parlamento

by Editore | 22 Marzo 2012 6:36

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ROMA – Una giornata di sciopero generale più altre otto ore da definire a livello territoriale. La Cgil va alla lotta per la difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, contro i «licenziamenti facili» e le «bugie del governo», come ha detto ieri Susanna Camusso. Ma nello stesso tempo ha deciso di andare in pressing in Parlamento, in particolare sul Pd, perché modifichi la riforma del governo ristabilendo il principio del reintegro nel posto di lavoro per chi subisce un licenziamento senza giusta causa. Le date degli scioperi saranno fissate in base all’andamento dei lavori parlamentari.
La Cgil è l’unica organizzazione sociale a non aver condiviso la proposta del presidente del Consiglio, Mario Monti, anche se da ieri sono sempre più consistenti i dubbi della Uil che ora chiede cambiamenti in sede parlamentare, così come della Cisl che vede di buon occhio correzioni e considera ancora possibili alcuni miglioramenti al testo a cominciare da quella parte che potrebbe estendere il nuovo articolo 18 anche al settore pubblico. Il ministero della Funzione Pubblica ha prima detto che la bozza della riforma lo prevede, poi ha fatto una lieve pasticciata retromarcia rinviando alla lettura della norma definitiva. Un mini giallo.
Oggi pomeriggio l’ultimo round tecnico al ministero del Lavoro per la stesura dei testi sui contratti e gli ammortizzatori sociali visto che quello sull’articolo 18 è invece sostanzialmente blindato. Poi il governo dovrà  decidere quando (probabilmente prima di Pasqua) e come (decreto legge o disegno di legge delega) presentare in Parlamento la sua riforma del lavoro. Che ieri ha ottenuto il previsto via libera da parte della Commissione della Ue. Ha detto il commissario all’Occupazione, Lazio Andor: «La riforma del governo italiano ha intenzione di dinamizzare il mercato del lavoro. Questo corrisponde al nostro obiettivo. Per questo la direzione della riforma è degna di sostegno». Promozione piena che si contrappone alla bocciatura della Cgil, ma che illustra bene l’asse lungo il quale si è sviluppato il confronto. E a Monti – l’ha detto – interessava prima il giudizio dell’Europa (è stata la Bce ad agosto a sollecitare un intervento sulle norme relative ai licenziamenti) poi quello della Cgil e dei sindacati in generale. 
È una prova forza quella che la Cgil mette in campo sapendo non avrà  a fianco gli altri sindacati («Cisl e Uil – ha detto Camusso – hanno commesso un gravissimo errore abbandonando l’ipotesi di una mediazione unitaria») e sapendo che i margini in Parlamento, con il Pdl determinatissimo a non far cambiare una virgola (bastava leggere ieri le dichiarazioni dell’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi) alla riforma, sono davvero stretti. Per questo i sindacalisti di Corso d’Italia hanno deciso di agire su più piani: accanto agli scioperi, alle assemblee dei luoghi di lavoro e al rapporto con il Parlamento, ci sarà  anche una mobilitazione per raccogliere le firme su una petizione popolare a sostegno del ripristino dell’articolo 18. 
La nuova battaglia per l’articolo 18 ricompatta la Cgil. Il documento conclusivo, dopo un’intera giornata di discussione, è passato con 95 sì, 2 no (tra i quali quello di Giorgio Cremaschi) e 13 astenuti (tra i quali il leader della Fiom, Maurizio Landini). E la convinzione della Cgil è che tra la Finanziaria, la riforma delle pensioni e, infine, quella del lavoro vi sia un filo che le lega: «Quello di scaricare – ha detto Camusso – sui lavoratori, pensionati e pensionandi tutti i veri costi delle operazioni che vengono fatte. La riforma – ha aggiunto – di per sé non crea neanche un posto di lavoro. Non ci può contrabbandare la necessità  di nuove regole con la crescita del paese».

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