by Editore | 5 Marzo 2012 8:48
PALERMO – «Se solo avessi potuto immaginare la dose di cattiveria che avrei dovuto inalare in queste primarie, beh, altro che rinuncia, fuga nelle mura di casa». Rita Borsellino è sola nel suo studio stasera, finalmente liberata dalla prova politica più difficile e in attesa del verdetto. Non sembra una bella serata per lei. Ha 70 anni e porta col suo cognome il peso nobile e tragico della storia recente di Palermo. L’avversario che sta insidiando la sua leadership e insieme provvedendo ad assestare un colpo d’ascia alla sedia di Pierluigi Bersani è più giovane dei suoi figli. Si chiama Fabrizio Ferrandelli, 31enne, del quartiere popolare della Zisa. Caratteristiche spiccate di mangiavoti. E’ affamato e corre e salta da una amicizia con un partito all’altro. Come fidanzate che scorrono in un album già troppo voluminoso: con gli umanisti per un nuovo umanesimo, con Borsellino per una nuova antimafia, con i verdi per l’ecologia, con Di Pietro per l’antipolitica. Negli anni è stato un po’ con tutti e un po’ con nessuno. Ora finalmente con sè stesso. Felice: «Sto con la gente, sempre con loro, notte e giorno. Disoccupati, disabili, ragazzi sfortunati, famiglie povere. Cinquanta sigle mi sostengono, popolo vero, dolori e speranze sincere. Non baro. Io ci sono a Palermo». Il candidato impossibile del centrosinistra al comune ha le idee chiare e conosce il porto d’attracco della sua barca, ancor prima di vedere contate le schede, chiusi gli scrutini: «La mia aspirazione era di fare il sindaco. Non da ora, non da oggi. Erano anni che ci pensavo. E sono persuaso di poterci riuscire. Non ho nascosto l’ambizione, il desiderio, la partecipazione». Ferrandelli non ha nascosto nulla, vero. Non ha nascosto che accanto alla gente debole ha goduto del potere forte dei cacicchi siciliani, Antonello Cracolici e Beppe Lumia anzitutto, in rotta con l’altro tronco dell’establishment locale e alleati convinti di Raffaele Lombardo, il capo del centro di potere costituito dalla cassa della Regione Siciliana, alla quale in qualche modo è convintamente aggrappato anche il Partito democratico. Qui a Palermo li chiamano “lombardini”, messi elettorali dell’Mpa che sembra una sigla radiofonica e invece è il nome del partito di Lombardo. Parecchia gente, specialmente nelle fasce periferiche della città , ha partecipato alle primarie senza saperne nulla e, forse, senza neanche avere troppo in simpatia la sinistra e il Pd. E parecchi immigrati, questo è sicuro, sono stati consegnati, come fosse una baracca del Missisipi dei primi anni ’50, al gazebo dedicato ai “neri” in piazza Bellini. Gli immigrati, africani e indiani soprattutto, organizzati dalle cooperative sociali a loro volta organizzate prevalentemente da Ferrandelli, giacevano in una interminabile fila dedicata; i bianchi in un’altra fila. Razzismo preterintenzionale, certo frutto infelice di improvvisazione, ma comunque visione piuttosto cupa.
Qualche bus di troppo, qualche soldo scambiato davanti ai seggi, qualche denuncia alla Digos. Fenomeni ancora non suscettibili di segnare un inquinamento di un voto che invece è stato massiccio, imprevisto, largo. Erano attesi ventimila cittadini, se ne sono presentati trentamila. File da mattina a sera, file a pranzo ovunque. I quattro candidati, tutti agguerriti, hanno fatto lievitare la disponibilità al voto in una città che fino a ieri ha assistito piuttosto assente alle esercitazioni di sparo dentro il partito democratico. «Aspetterò l’ultima scheda per commentare. Però di una cosa sono certa: non mi sono sembrati competitori che in qualche modo coabitavano nella stessa comunità , con il medesimo sentire comune. Ho visto avversari feroci, ho dovuto subìre allusioni velenose. E ho dovuto raccoglierli col silenzio. Palermo è esagerata in tutto, diceva mio fratello. Nel bene come nel male. E mi sembra proprio che si sia esagerato». Rita Borsellino saluta, e per adesso si congeda.
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