Kimberley, la Miss Wisconsin paladina delle donne afghane

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Meno noto è il nome dell’avvocato che ha seguito il caso fino a che la ragazza ha ottenuto la grazia lo scorso dicembre dal presidente Karzai. Quell’avvocato è Kimberley Motley: trentaseienne americana, ex reginetta di bellezza oggi madre di due figli che non parla le lingue locali (si affida ad un team di interpreti) e per tradurre la legge islamica usa l’iPad, e che non aveva mai lasciato gli Stati Uniti prima di trasferirsi, quattro anni fa, in Afghanistan, dov’è diventata una paladina del cambiamento del sistema legale.
«C’erano altri avvocati che conoscevano il caso di Gulnaz — ha detto alla Bbc — e che non pensavano fosse una buona idea presentare una richiesta di grazia». È cresciuta in un quartiere difficile di Milwaukee, in Wisconsin, dove «la gente spesso entrava e usciva di prigione», ha raccontato, e dove girava molta droga. Il papà  afroamericano era nell’aviazione, conobbe la mamma di Kimberley a Seul. Dopo un incidente d’auto al lavoro, l’assicurazione rifiutò di compensarlo. Ed è per questo che lei non si è accontentata di diventare Miss Wisconsin, ma ha studiato legge. Dopo aver lavorato per otto anni negli Usa, è giunta a Kabul nel 2008 con un programma del dipartimento di Stato Usa e il compito di addestrare avvocati difensori locali, ma ha notato che i diritti degli accusati sono spesso violati: viene loro negata la possibilità  di parlare in corte, l’accesso a legali e capita che i tribunali sovraccarichi emettano condanne con scarse prove. Motley dice di aver rifiutato la pratica diffusa di pagare mazzette in cambio di una riduzione della pena — ma le sue frequenti denunce sulla corruzione del sistema hanno provocato l’ira del governo.
È stata pure criticata perché non si copre la testa con il velo. In tribunale non mette mai la gonna, perché sostiene che sia meglio somigliare il più possibile ad un uomo per essere ascoltata. Ha ricevuto minacce di stupro. «Immagino che se fossi un uomo riceverei molte più minacce di morte. Ma non mi mancano neanche quelle», ha detto alla giornalista Elise Jordan, che l’ha ritratta per il blog di Tina Brown, The Daily Beast
È registrata come avvocato presso molte ambasciate in Afghanistan, inclusa quella italiana. Si è occupata di un australiano nel braccio della morte per l’assassinio di un collega afghano, di un sudafricano condannato a 15 anni per traffico di droga, e di un ex militare inglese che doveva scontare due anni per aver pagato una mazzetta. Quest’ultimo, Bill Shaw, manager di «G4S», una compagnia di contractor responsabile della sicurezza dell’ambasciata britannica a Kabul, si dichiarava innocente: non era una mazzetta ma una multa, così diceva di aver creduto, per riavere due veicoli antiproiettile confiscati dalla sicurezza afghana. Alla fine, è stato prosciolto per carenza di prove. Se i suoi guadagni vengono soprattutto da casi come questo, ha difeso però anche pachistani e africani arrestati per detenzione di stupefacenti — spesso si tratta dei cosiddetti «muli della droga», usati dai trafficanti. 
C’è chi l’accusa di usare storie come quella di Gulnaz per farsi pubblicità . Lei nega. Certo però per aiutare davvero ragazze afghane come lei la strada è ancora lunga, e non si conclude in tribunale. Benché graziata, i giudici le hanno consigliato di sposare lo stupratore. La famiglia potrebbe costringerla.


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