India, in piazza contro l’Italia tra pescatori, suore e sacerdoti

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È solo un disegno, trasformato con un po’ di cartone e di nastro da imballaggio, nel cartello più visibile, al centro della piazza occupata dai pescatori. Almeno un migliaio di persone (molte donne, anche anziane) nella mattinata di ieri si è ritrovato davanti al «Secretariat», la sede del Governatore, qui a Trivandrum capitale del Kerala (India meridionale). Sarebbe sbagliato definirla una manifestazione anti-italiana, ma il caso della Enrica Lexie è quello che forse fa più male alla grande comunità  dei 3 milioni di pescatori di questo Stato con 33 milioni di abitanti. Sul pianale di un furgoncino si alternano gli oratori. Salgono anche diversi sacerdoti in clergyman bianco e, a un certo punto, compare anche l’arcivescovo della diocesi di Trivandrum, monsignor Soosa Pakiam. Parlano tutti nella misteriosa lingua locale, il malayalam, e sulla base dei toni è difficile distinguere un prete dall’inferocito proprietario di un semplice gozzo, con una nassa per i calamari. La folla li ascolta, assecondando con brevi ruggiti quelli che sembrano appelli, incitazioni. «Siamo poveri, ma siamo forti», ti urla a cinque centimetri dalla faccia, un uomo scuro, sulla trentina. Ma bastano pochi secondi per capire che non ce l’ha con l’Italia (e tantomeno con te). Questi uomini, queste donne sedute sulla falda più lunga del sari, chiedono, invece, «sicurezza», «assistenza», «sostegno economico». Gridano che vogliono andare per mare senza il timore di essere presi a fucilate dalle motovedette dello Sri Lanka, o dalle grandi navi straniere, come la Enrica Lexie. Solo a febbraio 8 morti, più altri dispersi. L’anno scorso, 28 vittime. 
Dietro il cancello protetto dalla polizia schierata in assetto anti-sommossa (scudi e bastoni di bambù), nel grande palazzo coloniale, il Governatore-padrone del Kerala, Oommen Chandy, in quegli stessi minuti è a colloquio con il sottosegretario agli Esteri, Staffan de Mistura. 
Così questa piazza riempita da gente che, quando va di lusso, porta a casa 500 rupie al giorno (8 euro), è improvvisamente diventata il crocevia non solo della manovre politiche in vista delle elezioni locali, ma persino dei rapporti diplomatici tra India e Italia. Per il governatore Chandy questi sono elettori che non si possono perdere e, quindi, lo dice esplicitamente a De Mistura, per ora non farà  nulla per tirare fuori dal carcere di Poojapura i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso Valentine Jalestine e Ajeesh Binki.
I pescatori sicuramente sono «poveri». Se sono anche «forti» lo devono alla Chiesa schierata in modo militante a loro difesa. Scendendo lungo la costa, da Kochi a Moothakara (il villaggio dove abitava Valentine Jalestine) si passa da un campanile a una rada per i pescherecci, da una canonica a un ammasso di reti. In questa lunga striscia di palme la Chiesa cattolica ha piantato radici più di quattro secoli fa e continua a raccogliere frutti. Nel Kerala vivono circa 6 milioni e 200 mila cristiani (il 19% della popolazione). La comunità  cattolica, la Chiesa siro-malabarese, (fondata da San Tommaso), con 3 milioni e 700 mila fedeli è la più grande e più ricca organizzazione religiosa dello Stato. Può contare su un patrimonio valutato circa 163 milioni di euro, con cinquemila strutture, tra scuole, università , ospedali e istituti di formazione tecnico-professionale. Una realtà  che ha appena espresso un cardinale, George Alencherry (criticato per una dichiarazione prudente sul caso dei marò). Una forza di cui Chandy, leader locale del partito del Congresso, non può fare a meno e infatti, si dichiara «un cattolico siro-malabarese». I preti ieri erano in piazza. Non in funzione anti-Italia, ma certo meno accomodanti di un politico a caccia di voti.


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