Il processo a Dell’Utri è da rifare
Accogliendo il ricorso della difesa e la richiesta del pg di Cassazione, Francesco Iacoviello, che aveva tuonato contro il reato di concorso esterno in associazione mafiosa: «ormai diventato un reato autonomo, un reato indefinito al quale non crede più nessuno!».
Processo da rifare, con grande soddisfazione, riferiscono dalla Russia, di Berlusconi da sempre convinto dell’innocenza dell’amico. Non è un’assoluzione, ma si riparte dalla prima condanna a nove anni, e da un nuovo processo d’appello a Palermo con un collegio diverso. Con la ragionevole sensazione dell’avvocato Krogh, che si concluderà prima del verdetto per l’arrivo della prescrizione, attesa a giugno 2014 e «non si giungerà mai alla verità , che noi invece vogliamo». Ovvero a capire se Dell’Utri tra gli anni 70 e il ’92 abbia fatto o no da interfaccia tra Cosa Nostra e Berlusconi. Intrattenendo rapporti con i mafiosi Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Vittorio Mangano, poi «stalliere» ad Arcore, che gli valsero la «protezione» finanziaria e personale per sé e per il Cavaliere, secondo quanto sostenuto da molti pentiti a partire dal 1994.
«Nessun imputato deve avere più diritti degli altri ma nessun imputato deve avere meno diritti degli altri: e nel caso di Dell’Utri non è stato rispettato nemmeno il principio del ragionevole dubbio», aveva sostenuto ieri il pg Iacoviello. «Se alla sentenza togliamo tutte le frequentazioni e le conoscenze, non rimane niente, e la Cassazione, con la sentenza Mannino, ha detto che queste cose sono irrilevanti», aveva fatto notare. «Descrivere l’imputato come “referente o terminale politico della mafia,” non significa nulla: non si fanno così i processi, si devono descrivere i fatti in concreto», aveva aggiunto. E censurando le «gravi lacune» della sentenza, aveva avvertito la Corte: «La sentenza sostiene l’esistenza del reato di concorso esterno in associazione semplice fino al 1982, poi parla di concorso esterno in associazione mafiosa fino al 1992. Nessuno ha mai sostenuto una tesi del genere». Da lì la richiesta di rigettare il ricorso del pg di Palermo Antonino Gatto, favorevole a una condanna più dura e al riconoscimento delle accuse anche per il periodo successivo al 1992, e di annullare la sentenza, o affidarla alle Sezioni Unite.
Gli ha dato ragione la quinta sezione, presieduta da Aldo Grassi. «Molto soddisfatto» per la sentenza l’avvocato Krogh: «Il ricorso si è dibattuto in un clima di grande serenità che ha consentito il chiarimento dei fatti». «I giudici di Palermo sono stati assediati da una Procura che, ad ogni costo, voleva provare quello che non si poteva e hanno finito con lo scrivere una sentenza che contiene solo acrobazie», aveva argomentato nell’arringa. E aveva aggiunto: «Non c’è mai stato alcun incontro tra Berlusconi e i boss Di Carlo, Teresi e Bontade e la Procura si è ostinata a credere a una bugia smentita da tutti gli accertamenti».
«Nessuno osi più dire che la giustizia italiana non è garantista», commenta la pd Garavini. Ma il Pdl attacca come se Dell’Utri fosse stato già assolto. Per Bondi: «Nessuno potrà mai sanare le sofferenze patite ingiustamente». E mentre il segretario Alfano esorta Dell’Utri: «Tieni duro», Maurizio Gasparri chiede: «Chi paga i danni a lui e alla nostra parte? Dobbiamo valutare la possibilità di far condannare chi nella magistratura ha sostenuto accuse prive di fondamento. Approviamo la norma sulla responsabilità civile dei giudici senza cambiare una virgola».
Virginia Piccolillo
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Le costituzioni democratiche, con l’indipendenza del sistema giudiziario, cercano di garantire i diritti di tutti, compresi quelli dei più deboli e delle minoranze. I giudici non sempre l’hanno pensato allo stesso modo dato che, storicamente e inevitabilmente, si sono sentiti parte delle classi dominanti, delle quali condividono i «valori» non per servilismo ma per intima convinzione. Avendo i giudici «contro», il movimento operaio si è battuto più per togliere le catene (rectius, le manette) che per metterle.