Il “pied-noir” che seduce la Francia

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La nuova stella della politica francese viene dal Marocco. Jean-Luc Mélenchon da Tangeri, 60 anni e poco piuÌ€, eÌ€ un vecchio “pied noir” che ha imparato a conoscere la Francia nella diffidenza dei suoi compagni di classe a Yvetot, nel cuore dell’alta Normandia. Dalla sponda africana del Mediterraneo ai nuvoloni grigi della Manica: a undici anni deve essere ancora piuÌ€ doloroso.
Immigrato, trotzkysta, correttore di bozze, giornalista. Mitterrandiano di ferro prima e jospiniano poi. Consigliere, senatore, frondista e neo-gauchista. E infine candidato-rivelazione alle presidenziali col Front de Gauche. Tutto (quasi) sempre con un’eleganza e una continuitaÌ€ di pensiero che molti suoi ex colleghi a rue de Solférino difficilmente possono rivendicare.
«Jean-Luc Mélenchon eÌ€ magniloquente, provocatore, fin troppo fiducioso in se stesso […] , ma eÌ€ il miglior oratore della scena politica francese. Non ricordo alcun oratore venuto dritto dal diciannovesimo secolo, come lui, capace di riempire fino al colmo non solo le sale dei comizi, ma anche gli studi televisivi». Garantisce Alain Duhamel, storico notista politico transalpino.
Belle parole, ininfluenti peroÌ€ nelle urne: a tanto sembrava destinata la campagna del Front de Gauche, ingolfata per mesi a un indice di gradimento che non voleva saperne di decollare. Poi, nelle ultime settimane, la svolta. L’ultimo sondaggio Ipsos accredita Mélenchon per la prima volta di un dato superiore al 10%. Lo stagnante Bayrou (13%) eÌ€ dietro l’angolo, e nessuno al Front fa mistero di aver messo il Modem nel mirino. Con Hollande che naviga stabilmente intorno al 30%, lo spettro di un 21 aprile 2002 quando i voti alla sinistra del Ps spianarono la strada del ballottaggio a JeanMarie Le Pen eÌ€ scongiurato. E allora, riassumono i “frontisti”, gli elettori di sinistra al primo turno possono permettersi un voto «di convinzione».
Mélenchon, per parte sua, celebra il raggiungimento di una «soglia di credibilitaÌ€», e cerca di conciliare il successo con la storica avversione per la politica condotta a colpi di sondaggi. Non piuÌ€ tardi della scorsa primavera François Delapierre braccio destro di Mélenchon in un’intervista a questo giornale esprimeva tutta la diffidenza del Front per i metodi di rilevazione impiegati dai grandi istituti demoscopici.
Dopo mesi di bolina stretta, i gauchisti procedono a vele spiegate. E la loro avanzata argomenta Mélenchon incide pesantemente sui contenuti della campagna. Giudicando la proposta di Hollande di tassare al 75% i redditi superiori al milione di euro, il candidato del Front ha scritto sul suo blog di «vedere un movimento nella nostra direzione […] Serve peroÌ€ una coerenza globale del progetto […] che nel caso di Hollande ancora manca».
Riportare l’etaÌ€ pensionabile a 60 anni eÌ€ il minimo del minimo, per il Front de Gauche. Che si batte per l’introduzione di un tetto massimo alle retribuzioni, l’innalzamento del salario di base a 1700 euro e la tumulazione della Quinta repubblica. Tema, quest’ultimo, caro anche ad Arnaud Montebourg, il paladino della sinistra Ps che quest’autunno ha ottenuto il 18% alle primarie socialiste: un bacino di voti che segnala il potenziale di crescita di Mélenchon, complice anche l’ininfluenza degli altri candidati alla sinistra del Ps.
Al Partito comunista anima del Front assieme al Parti de Gauche affilano le armi: la vera battaglia eÌ€ per le legislative di giugno, che stabiliranno il margine di manovra del piuÌ€ che probabile presidente Hollande. Nessuna possibilitaÌ€ di sostenere un “governo Hollandréou”, disposto come l’esecutivo socialista di Papandreou a infliggere austerity su austerity. Ma prima ancora di parlare di programmi, Hollande dovraÌ€ farsi perdonare un’intervista al Guardian che voleva rassicurare la City: «Non esistono i comunisti in Francia, non c’eÌ€ nulla da temere». E invece, pare, sono in ottima salute e lottano assieme al compagno Mélenchon.


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