by Editore | 8 Marzo 2012 9:51
Poi Jean-Michel Six, economista per l’Europa di Standard & Poor’s, ha preso la parola in un convegno di Cannes in modo inusuale per il suo settore: «Se guardiamo a quello che ha fatto l’Italia in pochi mesi — ha detto — non possiamo che essere sorpresi».
In effetti nelle ultime sette settimane le buone notizie non sono mancate. Il 13 gennaio scorso il premio di rischio in più pagato rispetto alla Germania (lo spread) era di 480 punti base; ieri di 330, con un calo radicale del costo di finanziamento. Ma è sette settimane fa che Standard & Poor’s, la più autorevole agenzia di rating sul mercato, ha declassato l’Italia sotto al livello «investimento» (con prospettive negative) e poco lontano dal livello «spazzatura». Per S&P, il 13 gennaio, non esisteva un sistema di sostegno credibile in Europa e la vulnerabilità dell’Italia stava crescendo.
Il mercato per ora non ha condiviso. Buona parte del merito non è del governo, ma della Banca centrale europea. Mille miliardi di liquidità a tre anni e a basso costo sono un argomento solido: sono la rete di cui S&P aveva escluso l’esistenza. Ma ciò che colpisce nella «sorpresa» di Six sull’Italia è che gli ingredienti del miglioramento recente erano già tutti visibili al momento della bocciatura. C’era la manovra per il pareggio nel 2013, c’era la riforma pensioni, il piano di liberalizzazioni e quello sul lavoro. C’erano le decisioni della Bce e persino l’avvio del calo dei tassi sui Btp. Gli elementi per l’analisi erano tutti là , bastava guardarli: la vera sorpresa è non averlo fatto.
In quel momento ha prevalso forse l’abitudine di prendere la strada di minore resistenza, quella che pare meno rischiosa per la propria credibilità . Ma non sempre è la più sicura. E ieri Six, fra le righe, in fondo lo ha detto.
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