Il partito chiude le porte ma non ai social network

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Si faceva quasi fatica a seguirli: chi aggiornava la situazione ogni due minuti, chi non riusciva a passare nemmeno trenta secondi senza dare una notizia di quel che stava accadendo a largo del Nazareno. Nel frattempo, sui social network impazzava il dibattito. Che avrà  voluto dire Paola Concia con il suo tweet? E per quale motivo Walter Veltroni, ammansito e conciliante, ha scelto il buonismo e il low profile? Nella rete si scatenava la dietrologia.
Persino uno dei giornali del Partito democratico, Europa, partecipava, tramite Twitter, al grande chiacchiericcio «democratico». Nel frattempo, sotto la sede nazionale del Pd, a Largo del Nazareno, nel pieno centro di Roma, stazionavano gruppi di giornalisti e operatori televisivi. Divieto d’ingresso per loro, costretti a fare su e giù per i marciapiedi in attesa di una dichiarazione o di una confidenza.
Inutile far presente che il dibattito interno non era più tanto riservato dal momento che su Facebook e Twitter si sprecavano i commenti e le dietrologie, dopo che le parole di Bersani, Letta, Bindi, Veltroni e D’Alema rimbalzavano da una parte all’altra della Rete. Gentile ma inflessibile, l’ufficio stampa del partito ubbidiva agli «ordini» dati: fuori i cronisti, che scrivono malignità  e cattiverie.
Situazione surreale. I sacerdoti della sacralità  della politica, per lasciare in vita il mito, mantenevano l’inviolabilità  delle segrete stanze. I parlamentari con telefonini, computer e iPad dimostravano che ormai alla politica piace apparire. Anzi, per essere precisi, non sa più fare a meno di specchiarsi sugli schermi televisivi e di riflettersi nella Rete. In quei luoghi non c’è il filtro dei giornalisti. E questo è l’importante.


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