Il paese dei lettori deboli

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Per gli editori è uno schiaffo che fa male, o forse qualcosa di più. Per tutti gli altri è una catastrofe culturale, sempre nell’accezione classica: non una tragedia, ma un radicale passaggio d’epoca. «Sicuramente è un dato pesante che, se viene confermato alla fine del 2012, potrebbe determinare una crisi molto grave dell’editoria libraria». Non sono parole leggere quelle pronunciate da Gian Arturo Ferrari, presidente del Centro per il Libro, mentre illustra il sondaggio realizzato da Nielsen su lettura e vendita in Italia nell’arco del 2011. A preoccupare non sono tanto le cifre complessive, che anzi attenuano i nostri complessi di comunità  non leggente, quanto il raffronto tra l’ultimo trimestre dell’anno passato con il corrispondente trimestre del 2010. Gli acquirenti sono calati del 10%, e la spesa complessiva del trimestre è scesa del 20%, da 587 a 471 milioni di euro. In altri termini, compriamo meno libri, scegliendo tra quelli a minor costo. Un trend al ribasso che appare confermato dal primo trimestre del 2012 (anche in assenza di dati ufficiali). «Ora bisogna aspettare», suggerisce Ferrari. «La campanella d’allarme potrebbe tradursi in qualcosa di più serio. Un comparto fondamentale della nostra industria culturale viene messo a dura prova da una sberla bestiale. E piccoli e medi editori sono quelli più esposti. Ma prima di pronunciare profezie apocalittiche preferisco attendere i dati complessivi di tutto l’anno».
Al momento la mappatura di Nielsen, che rileva mese dopo mese acquisti e letture di 9.000 famiglie (dai 14 anni in su), non è certo rassicurante. Possiamo forse mitigare la nostra consueta mortificazione, rispetto alla comunità  internazionale, grazie al nuovo dato che innalza al 49% gli italiani lettori: la cifra vuol dire che metà  della popolazione prende in mano almeno un libro all’anno. Un gigantesco passo in avanti rispetto agli esordi nazionali di centocinquant’anni fa, caratterizzati da una schiacciante maggioranza di analfabeti. Ma può far riflettere il dato che il 70% di lettori sia nella fascia tra i 14 e i 19 anni, ossia tra gli studenti delle superiori «costretti» alla lettura dagli insegnanti. Ed è una consolazione mesta, la crescita della cifra complessiva di leggenti, se ci concentriamo su quel secondo elemento, «almeno un libro all’anno». Perché rimangono pochi, pochissimi coloro i quali hanno reale dimestichezza con le pagine scritte. Pochi che sono sempre gli stessi, laureati e socialmente attrezzati, a conferma che il nostro è un paese di lettori a struttura piramidale, che poggia sul vertice e non sulla base. «Da noi la lettura», commenta Ferrari, «continua a essere un bene elitario e poco diffuso. La platea di lettori è ampia ma rada, tranne un fortilizio agguerrito che macina ogni anno dai dodici titoli in su». Il 5% della popolazione italiana consuma il 41% del mercato, due milioni e mezzo di italiani che non hanno niente da invidiare ai lettori tedeschi o francesi. Ma anche questo fortilizio si va erodendo. Anche l’ultimo bastione mostra cedimenti, con un calo di lettori forti intorno al 18% (e degli acquirenti del 20%): cifra che, seppur ristretta all’ultimo trimestre del 2011, sembra confermare il tracollo segnalato recentemente da Giovanni Peresson sulla base di cifre Istat. Guardando tutte queste cifre Marco Polillo, presidente dell’Aie, non ha dubbi: “sono dati disastrosi e allarmanti”.
Anche perché l’esodo dal libro di carta non è certo compensato dal rifugio nell’e-book. Anche qui le cifre disegnano un mercato ristretto (tra 1,1% e il 2,3%), molto distante dai vaticinii dei profeti elettronici. E certo colpisce la rilevante differenza tra gli e-book letti (1 milione e 100.000) e gli e-book acquistati (567.000), a conferma che sul campo gravano ancora la pirateria e l’assenza di regole certe. «Il libro elettronico rimane lo strumento del futuro», rimarca Ferrrai, «ma questo futuro in Italia appare ancora lontano. E noi oggi dobbiamo misurarci con un mercato tradizionale segnato da altri problemi». 
Un mercato che presenta una struttura quasi arcaica anche nella distribuzione. In tempi segnati dall’online, scopriamo che l’edicola continua a esercitare grande fascino, superiore a quello della rete. Può sorprendere che l’acquisto dei libri in Internet sia sotto il 9% (in Germania e in Inghilterra supera il 20%), surclassato dalla spesa in edicola, in abbinamento ai giornali (5%) e non in abbinamento (7%). Ferrari richiama l’attenzione sulla resistenza della libreria tradizionale (25%) rispetto alla libreria di catena (17%), che si mostra sofferente rispetto alla grande distribuzione (17% tra ipermercati, supermercati e autogrill). Un dato che acquista una luce diversa a seconda del punto di vista: cambiando prospettiva, si potrebbe dire che solo un quarto del mercato dei libri passa attraverso le librerie indipendenti. 
La crisi batte, e colpisce duro. L’acquirente si rivolge prevalentemente alle fasce basse di prezzo, con un aumento crescente dei libri dai sei ai dieci euro, mentre la copertina più penalizzata è quella tra le 20 e 25 euro. Segno che le collanine low cost e le sigle discount hanno saputo veder lontano. Siamo dunque risparmiatori, ma meno provinciali di quel che dice la vulgata. Il numero degli autori stranieri acquistati dagli italiani si mantiene abbastanza alto (40%), niente di paragonabile agli sciovinisti francesi o ai lettori anglosassoni, felicemente autosufficienti. «Solo noi e i tedeschi», commenta Ferrari, «mostriamo grande attenzione per il resto del mondo. O forse è un complesso di inferiorità  che ci portiamo dietro dalla batosta della seconda guerra mondiale». Con una curiosità : nell’acquisto dei libri privilegiamo nettamente i nostri autori, mentre nella lettura ci lasciamo andare più liberamente ai narratori di altre contrade (la percentuale sale di otto punti). Misteriose alchimie che illuminano aspetti nascosti del carattere italiano.


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