Il militante: “L’ho chiamato pecorella ma dopo abbiamo parlato e ieri ho preso anche le botte”

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GIAVENO – «Sai che c’è? Rilascio interviste solo a pagamento». Non ci crede nessuno all’ultima sparata di Marco Bruno, un modo per tenere il personaggio. Un personaggio non bello, l’inatteso volto disumano e strafottente del movimento. Il volto del ragazzo con la barba che dà  della «pecorella» al carabiniere che lo osserva in silenzio dietro la maschera antisommossa oltre il guard rail. Il video ha fatto il giro del web, la prima occasione in cui la Rete ha giocato pesantemente contro i No Tav, trasformandosi da potente alleato in feroce accusatore. «Sì, è stata una grande cazzata, ma Marco non è così», dicono i suoi vicini nel piccolo borgo di Giaveno lungo la strada provinciale per Cumiana. Marco, ovviamente, per chi lo conosce e lo frequenta tutti i giorni, è diverso. Non è il cinico maramaldo che infierisce su un carabiniere silenzioso. È anzi un bravo padre di famiglia, 28 anni, stimato nella sua professione, tutt’altro che un professionista della violenza. Non certo un black bloc: «Ma figurati. Quando è andato a bloccare l’autostrada era in pausa pranzo». Dunque è in pausa pranzo che ha girato il video della «pecorella». Poi, insultato il carabiniere, è tornato alle normali occupazioni quotidiane. 
Da anni, da molti anni, la Val di Susa è anche questo. Una schizofrenia collettiva che trasforma la brava gente in truci eversori, gli impiegati in bombaroli come cantava De Andrè. Di quella schizofrenia le prime vittime inconsapevoli sono i protagonisti. «Mi ha appena telefonato – racconta il vicino di Marco mentre affetta gli zucchini e i bambini guardano la Pimpa nella stanza accanto – e mi ha detto: sono tornato sulle barricate e la polizia mi ha picchiato durante gli scontri». Eh sì, perché ormai il personaggio è quello, bisogna reggerlo. Così anche il giorno dopo, mentre la tua faccia fa il giro del mondo, devi salire sulle barricate alla rampa dell’autostrada a Chianocco, sfidare gli agenti, far sapere che sei tu l’uomo con la barba. Ma mentre mantieni la tua parte, il tuo ruolo, chiami gli amici a casa e confessi: «Guarda che io a quel carabiniere dopo ho parlato. Abbiamo chiacchierato, solo che il video non mostra più quella parte». In fondo neanche Marco accetta di rivestire il ruolo, un po’ spregevole, di Maramaldo. Ma nelle ore della battaglia, mentre il movimento si sente accerchiato e, per la prima volta, pensa seriamente alla possibilità  della sconfitta, non ci sono spazi per marce indietro, pentimenti. È la forza delle cose che spinge Marco ancora una volta sulle barricate, è la forza delle cose che lo porta a sfidare di nuovo i cordoni degli agenti. Ed è la forza delle cose a spingere gli agenti a cercare la faccia di Marco tra le decine di volti che si oppongono allo sgombero dell’autostrada, perché anche le «pecorelle» hanno diritto alla rivincita. Che arriva puntuale. Nelle cariche Marco si prende le botte, viene fermato e poi rilasciato. Non dovrebbe essere automatico ma come immaginare il contrario? 
Finisce con l’ennesimo tafferuglio sull’autostrada il bilancio della giornata del ragazzo con la barba rossiccia. Oggi tornerà  probabilmente al lavoro e magari nella pausa pranzo salirà  alle barricate. Ma per la prima volta il movimento ha perso la battaglia mediatica. È stato sconfitto sul suo stesso terreno. «Che cosa vuoi che sia dire a uno ‘pecorella’? Non sarà  mica un insulto cosà­ grave?» minimizza Sandro Plano, presidente della Comunità  montana, leader politico del movimento. Poi però aggiunge: «Certo con quel video i mezzi di informazione non ci hanno fatto fare una bella figura».


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