Il gran martedì di Romney?
Lunedì mattina l’ex senatore della Pennsylvania ha tenuto un comizio molto ispirato alla Dayton Christian School di Miamisburg. Introdotto da una preghiera collettiva, Santorum, che si propone come la scelta pura e conservatrice, ha sottolineato come «essere americani sia un’idea». Le sue parole sono state accolte da un lungo applauso e dal coro «U-s-a, U-s-a», lo stesso scandito qualche ora più tardi al comizio a Zanesburg del grande favorito per la vittoria finale, quel Romney che sembrava caduto in disgrazia a metà febbraio ma che ha recuperato vincendo 4 primarie di fila, a cominciare da quella fondamentale in Michigan, lo Stato dove è nato e che sembrava aver perso.
Dopo essere stato in svantaggio in tutti i sondaggi per due settimane, proprio nelle ultime ore prima del voto l’ex governatore del Massachusetts ha prima agganciato e poi sorpassato Santorum secondo numerosi rilevamenti. La partita dell’Ohio era comunque troppo combattuta per essere assegnata in anticipo a uno dei due sfidanti, ma la rimonta di Romney ne ha evidenziato la solidità della candidatura.
Al sud si è tornato invece per la prima volta a parlare di Newt Gingrich, che dopo la sorprendente e vittoria in South Carolina di gennaio era completamente uscito di scena. In Georgia, il suo Stato, era saldamente al comando. Santorum invece aveva un piccolo vantaggio in Tennessee ed era molto più tranquillo in Oklahoma, doveva sembrava aver già vinto già prima dell’apertura delle urne. Oltre al Vermont, alla Virginia e all’Ohio, Romney aveva un larghissimo vantaggio in Massachusetts, dove è stato governatore e dove ha organizzato la sua festa elettorale ieri notte, volando verso Boston a ora di pranzo. Mentre Gingrich ha scelto il suo feudo in Georgia e Ron Paul, la cui candidatura è ormai più che altro di disturbo, ha atteso i risultati passando la giornata fra Idaho e North Dakota, Santorum ha organizzato il suo party a Steubenville, una cittadina di 20.000 abitanti al confine con la Pennsylvania dove nacque Dean Martin.
Quando il manifesto è andato in stampa i risultati non erano ancora noti, ma molti degli Stati sembravano comunque già decisi. La Georgia, che assegnava 76 delegati, era in mano a Gingrich, come l’Oklahoma, 40 delegati, era praticamente assegnata a Santorum e in Massachusetts, 38 delegati, l’unico dubbio era la misura della vittoria di Romney. Diverso il discorso per l’Ohio, Stato in bilico spesso decisivo a novembre che anche questa volta ha rispettato la sua tradizione rimanendo diviso fra il moderato Romney e il sanguigno Santorum, le cui parole fanno sempre molto presa sulla base conservatrice del partito. In Tennessee, 55 delegati, Santorum sembrava in grado di assicurarsi una vittoria di misura, mentre in Virginia, 46 delegati, e Vermont, 17, Romney era saldamente in vantaggio, come in Idaho, stato con una nutrita rappresentanza mormone che assegnava 32 delegati. Il North Dakota, che ieri non assegnava delegati, sembrava poter riservare sorprese tuttavia ininfluenti, mentre nei caucus dell’Alaska, dove si votava a tarda notte quando erano già usciti i risultati degli altri Stati, e che assegnavano 27 delegati, potrebbe essere successo di tutto.
La vittoria ottenuta in Michigan e Arizona il 28 febbraio ha comunque consolidato la posizione di Romney, che si è presentato ieri alle urne a Boston, ai seggi di Beech Street, con la certezza che anche una brutta nottata non avrebbe di fatto scalfito le sue possibilità di ottenere la nomination.
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