IL GOVERNO HA ROTTO, ORA ROMPA LA CGIL

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«Tutto ciò che è necessario per contrastare» le misure del governo può significare, se le parole hanno un senso, una cosa sola: promuovere una mobilitazione straordinaria per il ritiro di quelle misure. Lo sciopero generale va bene, ma va indetto subito, non rinviato e diluito. E va combinato con una lotta radicale, continuativa, di massa in tutto il Paese. Questa volta occorre fare sul serio. La distruzione dell’articolo 18 non può essere emendata, può essere solo revocata. Non è un problema di “pressione” su un’area parlamentare del Pd perché “prema” a sua volta sul governo con qualche straccio di emendamento o di supplica. Si tratta di rovesciare l’intero impianto di classe dell’attacco in corso. L’esito dello scontro non si gioca in Parlamento, ma sulle piazze. Solo una mobilitazione straordinaria mirata davvero a bloccare l’Italia può piegare il fronte avversario, approfondire le sue contraddizioni, ribaltare lo scenario di una sconfitta annunciata e drammatica. Solo la forza materiale del lavoro salariato in un processo di sciopero generale prolungato attorno ad una piattaforma di lotta unificante, può produrre la massa critica d’urto per riaprire la partita.
Gli avvenimenti di questi giorni confermano che le forme tradizionali delle relazioni sindacali, e persino quelle tra sindacati e governo, sono state travolte dalla pressione della crisi capitalista e da un livello di scontro storicamente nuovo. La classica concertazione degli anni ’90 e del precedente decennio è ormai un ferro vecchio. Le imprese, a partire dalla Fiat, procedono a una politica d’urto che smantella il contratto nazionale di lavoro e mette la Fiom fuori dalle principali fabbriche come non avveniva dal ’45. Il governo, infeudato a Confindustria e banche, procede o per decreti d’urgenza come sulle pensioni, o per audizioni delle parti come sul mercato del lavoro, fuori da ogni tradizionale pattuizione. Il consenso degli apparati sindacali viene sì ricercato: ma per imbrigliare preventivamente le reazioni sociali alla macelleria intrapresa, più che per negoziare il merito della macelleria. Perché il merito è concordato unilateralmente con i grandi potentati dell’impresa e della finanza, sul piano interno ed europeo. E dunque procede alla fine, in ogni caso, per dinamica propria.
La svolta che oggi si impone alla Cgil, e a tutto il sindacalismo di classe, riflette questo scenario nuovo. Che chiama tutti alle proprie responsabilità . Se la concertazione è finita, sia finita davvero per tutti. Siamo infatti al paradosso. Lo stesso governo che vanta «la fine del diritto di veto» della Cgil, pretende che la Cgil gestisca il proprio «legittimo dissenso» per governare la rabbia dei lavoratori e pilotarla sul binario morto di una protesta puramente dimostrativa, magari partecipata ma impotente. Questa pretesa deve essere respinta. Tanto più oggi. Anni e decenni di condotta “responsabile” verso i governi e i padroni (o di concertazione delle loro politiche) ci hanno portato di sconfitta in sconfitta, sino al baratro attuale. Ora basta. Ora è il momento di cambiare politica e di porsi allo stesso livello di radicalità  di governo e padroni: nella definizione delle forme di lotta, di una piattaforma indipendente , di una vertenza generale di svolta. Se la Cgil promuoverà  una mobilitazione straordinaria contro il governo, rompendo col Pd e con Napolitano, si porrà  come direzione naturale di un malcontento sociale enorme, rimotiverà  tante energie deluse e depresse, agirà  come fattore destabilizzante di un governo confindustriale, aprirà  una pagina politica nuova. Se invece il dissenso rimarrà  imprigionato nelle mezze misure, si voterà  alla sconfitta. Questo è il bivio.


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