by Editore | 2 Marzo 2012 8:17
ROMA — Orgogliosi di essere autonomi ma anche di poter svolgere un ruolo sociale, di prossimità e di sussidiarietà , capace di assicurare servizi di qualità ai cittadini che lo Stato non può erogare. Nel giorno della fiducia al Senato sul decreto liberalizzazioni, il «Professional Day» ha suonato la sveglia per 2 milioni e 300 mila appartenenti a 27 ordini professionali che con la crisi dicono di avere perso il 30% di fatturato. Cinque anni fa, ai tempi delle «lenzuolate» di Bersani, gli avvocati uscirono in corteo dal cinema Adriano e marciarono su Palazzo Chigi; ora, invece, la protesta dei professionisti (ci sono anche notai, commercialisti, ingegneri, architetti, medici, psicologi, agronomi e altre categorie) sembra aver preso più la strada della proposta: tanto che all’Auditorium della Conciliazione — dove si è svolta un’affollata manifestazione collegata con una decina di assemblee in tutta Italia — la conduttrice della «Giornata delle professioni», Tiziana Ferrario, ha chiesto ai presidenti degli ordini intervenuti di scrivere su un biglietto le proposte da inviare a Monti.
Nel suo messaggio di saluto, il ministro della Giustizia Paola Severino ha scritto che «la riforma delle professioni verrà affrontata nei tavoli di confronto e di consultazione». Il messaggio è di pace. Ma l’Organizzazione unitaria dell’avvocatura, guidata dal leggendario Maurizio De Tilla, ha già risposto con 8 giorni di sciopero (applausi fino a spellarsi le mani nell’assemblea di Napoli) e con la minaccia di costituire un «movimento politico trasversale nazionale»: «I professionisti sono pronti a consegnare i tesserini e a sospendere lo svolgimento delle proprie attività se andrà avanti il progetto di liberalizzazione selvaggia. Non ci convince la presenza di soci di capitale nelle società professionali perché ci potrebbero essere infiltrazioni di soggetti legati alla criminalità …». Più istituzionale la posizione del Consiglio nazionale forense che, pur ritenendo insufficienti le modifiche apportate al decreto, punta tutto su una rapida conclusione dell’iter della proposta di legge già avviata sulla professione.
Eppure, la cifra del «Professional Day» l’hanno data anche i giovani professionisti: la media dei 26 mila euro di reddito annuo, infatti, nasconde molte sacche di instabilità ben delineate dagli interventi dei giornalisti precari Massimiliano Saggese e Laura Bastinotti, dal medico Lucia Russo, dall’ingegnere Tullio Giuffrè, dal consulente del lavoro Giovanni Marcantonio: noi, hanno detto in coro, «non siamo una casta». E anche i notai, rappresentati dal presidente Giancarlo Laurini, hanno parlato di proposte in materia di successioni, di famiglia e di diritti e obblighi di natura patrimoniale. E i commercialisti, con il presidente Claudio Siciliotti, hanno espresso un desiderio: «Ben vengano i controlli fiscali ma senza spettacolarizzazioni. Vorremmo che gli accertamenti si concludessero con una stretta di mano».
In platea, c’erano anche alcuni parlamentari del Pdl (Gasparri, Cazzola, Siliquini, Berselli), ma anche Mantini dell’Udc. Maurizio Sacconi, poi, ha risposto a una sollecitazione del direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, sul ruolo sussidario dei professionisti nei confronti della Pubblica amministrazione e sulla fondamentale spinta in termini di fiducia che possono imprimere al Paese: «I professionisti — ha detto l’ex ministro — non sono solo al servizio dei rispettivi clienti ma sono titolari di funzioni sussidiarie. Sanno operare nell’interesse generale».
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