I giudici di Firenze: «Trattativa con i boss avviata dallo Stato»
ROMA — Stragi del 1992-1993. Per i giudici di Firenze la trattativa con la mafia «indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des». Ma — e questa è la novità — scrive la Corte d’Assise di Firenze che il 5 ottobre scorso ha condannato all’ergastolo il boss di Brancaccio Francesco Tagliavia per la strage di via dei Georgofili, «l’iniziativa fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia».
Un documento di oltre mille pagine, depositato ieri anche a Roma presso la Commissione Antimafia, dal procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi, ascoltato nel pomeriggio dall’organismo parlamentare presieduto da Giuseppe Pisanu che sta svolgendo una serie di audizioni per cercare di fare luce sulla contrattazione sotterranea Stato-cosche.
Secondo la sentenza inoltre è infondata l’ipotesi avanzata dal «pentito» Gaspare Spatuzza che il nuovo partito di Silvio Berlusconi avesse appoggiato la mafia e sia stato tra i mandanti delle stragi del 1993-94.
Nella sentenza si legge infatti che «l’obiettivo che ci si prefiggeva, quantomeno al suo avvio, era di trovare un terreno d’intesa con “Cosa Nostra” per far cessare la sequenza delle stragi». Secondo i giudici fiorentini, «è verosimile che tutti gli apparati, ufficiali e segreti, dello Stato temessero sommamente altri devastanti attentati dopo quello di Capaci (del 23 maggio 1992 in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, ndr), nella consapevolezza che in quel momento non si sarebbe saputo come prevenirli… si brancolava abbastanza nel buio, soprattutto sul piano dell’intelligence».
La trattativa, iniziata dopo Capaci, si sarebbe ben presto interrotta con l’attentato di via D’Amelio in cui il 19 luglio 1992 venne ucciso il giudice Paolo Borsellino, «forse per una sorta di ritirata di chi la conduceva (certamente il colonnello Mori, forse i livelli superiori degli apparati istituzionali) di fronte al persistere del programma stragista, laddove la trattativa avrebbe richiesto quantomeno un armistizio. Proprio per queste ragioni, l’uccisione di Borsellino resta nelle motivazioni e nella tempistica una variante anomala». Il procedimento conclusosi con la condanna di Tagliavia era stato aperto a seguito delle dichiarazioni del pentito Spatuzza, finito al centro della polemica politica per aver messo a verbale di aver saputo dal boss Giuseppe Graviano di rapporti fra Cosa Nostra e Berlusconi e Marcello Dell’Utri, circostanza poi negata da Graviano ai giudici. Nella sentenza la Corte d’assise sottolinea che «le gravi affermazioni formulate da alcuni collaboratori sul senatore Dell’Utri e su di un consapevole appoggio dato alla mafia dallo stesso Silvio Berlusconi e dal movimento politico da lui fondato nel 1993, a quel che consta non hanno ricevuto una verifica giudiziaria neppure interlocutoria».
«Stando alle risultanze di questo processo — si legge ancora — non ha trovato consistenza l’ipotesi secondo cui la nuova “entità politica” che stava per nascere si sarebbe addirittura posta come mandante o ispiratrice delle stragi».
La Corte d’Assise scrive però anche che «sorprende» la scelta di Giuseppe Graviano di non rispondere ai giudici di Firenze che lo interrogavano «su Marcello Dell’Utri, e su eventuali investimenti effettuati nel gruppo Fininvest e sul movimento denominato “Sicilia Libera”». E che questa stessa scelta «può essere anche interpretata come una sorta di segnale obliquo lanciato all’esterno». In ogni caso il pm Nicolosi, che ha accompagnato il procuratore Quattrocchi all’Antimafia, ha detto che «la ricerca di una sponda politica è sempre stata un pallino di Cosa Nostra: dopo la fine della Prima Repubblica c’era stato uno sbandamento prima verso Sicilia Libera, la formazione alla quale Bagarella voleva dare l’appoggio dei clan, poi verso Forza Italia. Ma dalle nostre indagini non risulta un negoziatore specifico».
I giudici fiorentini parlano infine di «ampie zone d’ombra» riguardo ai decreti sul carcere duro previsto dall’articolo 41 bis revocati o non rinnovati fra il 1993 e il 1994. Quindi non tutto è stato chiarito, e come ha più volte sottolineato davanti all’Antimafia il procuratore Quattrocchi «il reato di strage non si prescrive e quindi noi siamo pronti a riaprire le indagini in ogni momento». Per il presidente Pisanu non si può dire invece che tra Stato e mafia ci fu trattativa, «ma piuttosto un’estorsione, come ci hanno spiegato oggi i giudici di Firenze: la mafia, nella stagione delle stragi sul continente, ha cercato di costringere lo Stato con la violenza».
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