by Editore | 5 Marzo 2012 7:43
Giorni fa ero a Montreux, in Svizzera, nel vecchio, mitico e ancora molto costoso hotel “Palace”. C’erano quasi soltanto russi. Donne molto truccate, uomini col cranio rasato, bambini rumorosi. Tutti impellicciati. E a certe ore del pomeriggio, tutti in fila alla “suite Nabokov”, le due stanze rimaste tali e quali da quando vi abitarono per ben sedici anni lo scrittore di “Lolita” e sua moglie Vera. Quei russi con abbastanza soldi per abitare al “Palace” e letture sufficienti per sapere, più o meno, chi era Vladimir Nabokov, erano dunque la “classe media” russa di cui parliamo da un paio d’anni. Il ceto sociale che essendo uscito nell’ultimo decennio dai prefabbricati delle periferie desolate e dalla stretta delle penurie sovietiche, aspira adesso alla libertà , alla dignità e a un rispetto da parte del potere, che un regime poggiato su un paio di centinaia di ex Kgb non intende dargli. La “classe media” che ha manifestato negli ultimi due mesi a Mosca e a Pietroburgo, gridando “Putin vattene”.
E’ vero, i risultati delle elezioni presidenziali di ieri hanno dimostrato (come tutti del resto s’attendevano) che Putin non ha la minima intenzione d’andarsene. Brogli a parte, che ci sono stati certamente anche ieri, Putin è di nuovo presidente della Federazione con il 63 per cento dei suffragi, e vuole restare al Cremlino per sei anni almeno. Né si può credere che da domani sarà un’altra persona. Deciso a comportarsi con i russi senza offenderne la decenza. Senza trattarli come bambini un po’ deficienti che devono accettare ad ogni elezione il gioco delle tre carte Putin-Medvedev e Medvedev-Putin. Mostrando, invece, di voler combattere la battaglia contro la corruzione e quella per l’indipendenza dei tribunali. No, niente di tutto questo. E aspettarsi un’improvvisa e spettacolare conversione del regime e del suo capo, sarebbe ingenuo.
Torniamo quindi ai russi del “Palace” di Montreux. Alla “classe media” che vive, lavora e guadagna nelle grandi città . Sino a che punto questa parte dei russi è pronta a opporsi al regime? A rischiare una fase d’instabilità che sì aprirebbe sicuramente in un confuso, o addirittura drammatico, dopo-Putin? La risposta a queste domande non c’è. Gli oppositori sono tuttora molto divisi, non hanno un programma di governo né un leader. Ma essi, la cosiddetta “classe media”, rappresentano tuttavia un nuovo capitolo della storia russa. Il capitolo del discontento organizzato, pianificato, rabbioso e rumoroso, qualcosa che in Russia s’era visto soltanto con la rivoluzione del ‘17. L’avanguardia d’una Russia che non tace più, che s’è tolta dalle spalle la soma della tradizionale capacità di sopportazione, che non ha paura della repressione, e decisa – se si deve giudicare dalle manifestazioni degli ultimi mesi – a mettere sotto accusa tutte le vergogne del regime.
Si tratta d’un ridotto numero di persone, che non reggerebbero ad una risposta violenta scatenata domani o dopo dal Cremlino? Forse: ma è vero che oggi i numeri dell’opposizione non sono più quelli di altre epoche russe. I sondaggisti reputano il numero di coloro che scendono in piazza vicino al 24 per cento della popolazione. Registrano che il 70 per cento di essi sono diplomati o laureati, e che uno stesso 70 per cento naviga sulla Rete leggendo le proteste, gli inviti a manifestare, gli insulti rivolti quotidianamente contro il “Voz”, il capo, e i suoi accoliti. Sotto molti aspetti, quindi, la porzione più istruita e più moderna dei russi. Si può pensare che tutta questa gente, colma com’è di indignazione, risentimenti, spirito di rivolta politica, lasci a Putin la possibilità di mettere la Rete sotto sorveglianza stretta riportandola ai deboli mugugni o addirittura ai silenzi di due-tre anni fa? Difficile crederlo.
La Russia di cui Putin diventa per la terza volta presidente, non è insomma la stessa dei suoi esordi nel Duemila. Allora il paese era nel caos, e lui mise fine al caos. Operai e impiegati non ricevevano per mesi i loro salari, e l’ex colonnello del Kgb fece riscuotere regolarmene i salari. Il paese era precipitato nel rispetto delle altre nazioni, e Putin ne assicurò la risalita. Una Russia povera si fece man mano meno povera, e poi – nelle grandi città – quasi prospera. I consensi dei russi per il suo governo furono quindi larghi, di massa. Usciti dal disastro dei Novanta, chi voleva contestare la rozzezza, anzi la volgarità del personaggio, la sua cricca di ex agenti segreti, il vecchio metodo sovietico di attribuire alle “trame esterne” tutti i mali e le disavventure del grande paese? No, la Russia era allora con Putin.
Ma sul finire del suo secondo mandato, mentre si allestiva la sceneggiata della presidenza Medvedev, le cose cambiarono. Troppo lampanti erano ormai le magagne del regime. Lo smodato arricchimento dei sodali del “”Voz”, la corruzione dilagante senza che Putin desse segno di volere davvero mettervi fine, la soggezione del sistema giudiziario ai voleri del governo, la libertà di stampa mutilata. Era troppo, specie per le giovani generazioni, e il discontento cominciò a serpeggiare per poi esplodere con i brogli elettorali nelle politiche del dicembre scorso. Un po’ come nelle rivolte arabe la parte più aspra della protesta è scaturita infatti dalla ferita della dignità negata. Da un potere che si permetteva qualsiasi abuso nella certezza che ogni abuso sarebbe stato ingoiato, senza mai una reazione, dai cittadini.
Invece, stavolta la “classe media” ha alzato la testa. Il terzo mandato di Putin alla presidenza della Federazione si apre così in un’atmosfera ben diversa, più incerta, da com’erano cominciati nel 2000 e nel 2004 gli altri due. E’ vero, la salita dei prezzi del petrolio gli consente di aumentare la spesa pubblica (pensioni, servizi sociali, difesa), e in giro ci sono molte decine di migliaia di giovani disposti a partecipare alle dimostrazioni di sostegno al Capo. Mentre le colossali spese annunciate per nuovi armamenti serviranno a tenere in piedi il fantasma della “minaccia esterna” (vale a dire gli Stati Uniti) che ancora funziona sui nazionalisti russi. Ma tutto questo non può bastare. Oggi Putin è costretto a reinventare, se ne sarà capace, una politica. Lasciare la “classe media” a cuocere nel discontento e nelle proteste, può solo accorciare la durata del suo regime.
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