Gli «esodati», quei 350 mila rimasti nel limbo
Stiamo parlando della riforma delle pensioni, approvata all’interno del primo pacchetto di misure del governo Monti, il decreto «Salva Italia». Per centinaia di migliaia di persone, forse un milione, la nuova legge si è trasformata, documenta l’inchiesta di Bernardo Iovene, in una trappola, in un limbo di una vita sospesa.
Solo gli «esodati» e i «mobilitati» sono 350 mila, lavoratori che avevano concluso una trattativa, in base alla vecchia legge, per andare in pensione, adesso non possono più farlo, ma al tempo stesso adesso sono rimasti fuori dal posto di lavoro, e sono quindi anche senza stipendio. Perché è finita l’era degli «scaloni» e degli «scalini», e da quest’anno se si vuole la pensione piena, bisogna aspettare i 66 anni. «Starò sei anni fuori — dice una delle cinquemila cassaintegrate dell’Alitalia — la maggioranza di noi siamo vecchie per il lavoro e giovani per la pensione. Eccoci qua».
E’ anche vero però — sottolinea la Gabanelli — che secondo il Fondo monetario internazionale «con questa riforma tra tutti i Paesi industrializzati il nostro spenderà di meno in pensioni, nonostante l’Italia sia il Paese più vecchio». Perché? Risponde il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che in sostanza il forte «risparmio» sulle pensioni è ciò che permetterà allo Stato di continuare a pagarle anche in futuro mentre assicura che troverà una soluzione per gli «esodati». Altri problemi riguardano le cifre astronomiche richieste dall’Inps per la ricongiunzione dei contributi versati presso altri enti di previdenza, ad esempio, da lavoratori che hanno subito un processo di esternalizzazione da parte degli enti locali, presso cui hanno continuato regolarmente a lavorare ed ad essere retribuiti. C’è poi il caso dei «contributi silenti» che vengono incamerati dall’Inps per compensare il deficit di altre gestioni. La situazione si è fatta pesante anche per le casse private di previdenza, che devono dimostrare di essere in grado di pagare le pensioni dei loro iscritti per almeno 50 anni, e quindi hanno cominciato a mettere sul mercato il loro cospicuo patrimonio immobiliare, ma la vendita sull’altro fronte mette nei guai la stragrande maggioranza degli inquilini. Brunetto Boco, presidente della Fondazione Enasarco, in un’intervista cerca di rassicurare tutti, ma non sembra riuscirci.
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