GLI INTELLETUALI E LA PASSIONE PER LA CATASTROFE

by Editore | 31 Marzo 2012 2:52

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Dicono che in Cina, se si odia veramente qualcuno, lo si maledice così: «Che tu possa vivere in tempi interessanti!». Storicamente i «tempi interessanti» sono stati periodi di irrequietezza, guerra e lotte per il potere che hanno portato sofferenze a milioni di innocenti. Oggi ci stiamo chiaramente avvicinando a una nuova epoca di tempi interessanti. Dopo decenni di Stato sociale, in cui i tagli finanziari erano limitati a brevi periodi ed erano sostenuti dalla promessa che le cose sarebbero ben presto tornate alla normalità , stiamo entrando in un nuovo periodo in cui la crisi economica è diventata permanente, è ormai un semplice modo di vita. 
Questi cambiamenti non possono che frantumare la comoda posizione soggettiva degli intellettuali radicali, ben rappresentata da uno dei loro esercizi mentali preferiti lungo tutto il Novecento: l’impulso a «catastrofizzare» la situazione. Qualsiasi fosse la situazione presente, doveva essere dichiarata «catastrofica», e più le cose sembravano positive, più ci si compiaceva in questo esercizio; quindi, a prescindere dalle nostre differenze «puramente ontiche», prendiamo tutti parte alla stessa catastrofe ontologica. Heidegger accusò la nostra epoca di essere quella del «pericolo» estremo, del nichilismo compiuto; Adorno e Horkheimer videro in essa l’apice della «dialettica dell’illuminismo» nel «mondo amministrato»; Giorgio Agamben è arrivato perfino a definire i campi di concentramento del Novecento come la «verità » dell’intero progetto politico occidentale. Era come se la battuta ironica di Churchill – la democrazia è il peggior sistema politico possibile, se si escludono tutti gli altri – venisse ripetuta in forma seria: la «società  amministrata» dell’Occidente è pura barbarie celata sotto le spoglie di civiltà , l’estremo limite dell’alienazione, la disintegrazione dell’individuo autonomo e così via; e tuttavia, dal momento che tutte le altre strutture socio-politiche sono peggiori, tutto sommato non ci resta alternativa che sostenerla… Siamo dunque tentati di proporre un’interpretazione radicale di questa sindrome: forse ciò che questi infelici intellettuali non riescono a sopportare è il fatto di condurre una vita fondamentalmente felice, sicura e comoda, e così, per giustificare la loro più elevata vocazione, sono costretti a costruire uno scenario di catastrofe radicale. 
Sotto trattamento psicoanalitico si impara a fare chiarezza sui propri desideri: voglio veramente ciò che penso di volere? Prendiamo il caso proverbiale di un marito coinvolto in una passionale relazione extraconiugale, che sogna il giorno in cui la moglie scomparirà  e così lui sarà  libero di vivere con l’amante; quando questo finalmente accade, il suo intero mondo collassa e lui scopre che dopo tutto non vuole veramente l’amante. Come dice il vecchio proverbio: c’è solo una cosa peggiore del non avere ciò che si vuole, e cioè arrivare ad averlo. Gli accademici di sinistra si stanno oggi avvicinando a un tale momento di verità : volevate un cambiamento vero, ora l’avrete!

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