Fiducia sulle liberalizzazioni, sfida alla Camera

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ROMA — Sarà  che siamo arrivati alla fiducia numero dodici e con lo spread in calo diventa meno scontato procedere a tappe forzate. Ma sul decreto legge per le liberalizzazioni scoppia un caso che, partito da una questione di merito, rotola per tutta la giornata, si ingigantisce e diventa politico, fino a coinvolgere le regole base del sistema e cioè il rapporto fra governo e Parlamento. A fine giornata la Lega chiede un incontro al capo dello Stato, l’Italia dei valori parla di «Costituzione calpestata», Gianfranco Fini critica per la prima volta il governo Monti accusandolo di «insensibilità » e riceve la telefonata di Giorgio Napolitano che si riserva i passi opportuni per un chiarimento. Che cosa è successo?
Dopo l’ok del Senato, il decreto sulle liberalizzazioni è all’esame dell’aula di Montecitorio. I tempi sono strettissimi, per non farlo decadere deve essere convertito in legge entro sabato. Ma il colpo di scena arriva in mattinata, quando siamo già  sotto lo striscione dell’ultimo chilometro. La relazione della Ragioneria generale dello Stato rileva problemi di copertura finanziaria su cinque passaggi del testo. Non sono norme fondamentali per l’impianto del provvedimento, ma anche una sola modifica comporterebbe un nuovo passaggio al Senato e chiudere entro sabato diventerebbe impossibile.
Il documento della Ragioneria è la base per il parere che la commissione Bilancio deve dare prima del voto in Aula. Ma sempre in mattinata la commissione, «preso atto dei chiarimenti del governo», promuove il decreto anche se non a pieni voti. Il parere è favorevole, ma ci sono quattro osservazioni, suggerimenti di cui l’Aula può tener conto oppure no, che riguardano la compensazione per saldare i debiti delle pubbliche amministrazioni, le assunzioni all’Autorità  per l’energia elettrica e il gas e due passaggi delle nuove regole per i diritti aeroportuali. Ma il vero nodo riguarda la possibilità  per le pubbliche amministrazioni di cedere per finalità  sociali immobili di proprietà , scambiandoli con altri più adatti alle proprie esigenze. La commissione Bilancio chiede di sopprimere il comma aggiuntivo introdotto al Senato. Ma anche se più forte delle quattro osservazioni precedenti si tratta di una condizione semplice, che non richiama l’articolo 81 della Costituzione secondo il quale «ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte».
In sostanza anche in questo caso l’Aula della Camera ha la possibilità  di cambiare quella norma o lasciarla così com’è. Nessun obbligo di cancellare quel passaggio. È proprio questo il cuore del problema, perché già  in commissione Lega e Italia dei valori premono per chiedere lo stralcio di quella norma che probabilmente avrebbe messo a rischio la conversione del decreto. Al Senato la commissione Bilancio non aveva messo condizioni su questo punto, ma lì i posti chiave erano in mano al Pdl. Mentre qui a Montecitorio spettano all’opposizione con il presidente della commissione, Giancarlo Giorgetti, della Lega (che ieri era sostituito dal vice Roberto Occhiuto, dell’Udc) e il relatore Roberto Marmo di Popolo e territorio, il gruppo di Scilipoti. Per il governo in commissione c’è il sottosegretario all’Economia, Gianfranco Polillo, che invita ad andare avanti: «La copertura non può essere quantificata in anticipo. Gli enti locali quegli immobili li possono cedere oppure no, non sappiamo quanti saranno e nemmeno se ci saranno».
Ma il caso monta ed esplode tra fischi e boati di Lega e Idv quando l’Aula respinge la loro richiesta di rinviare il decreto in commissione e Fini esprime il suo «rammarico per l’insensibilità  mostrata dal governo nel non fornire ulteriori elementi di giudizio, anche perché sono questioni che hanno una loro fondatezza». Subito dopo il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, ufficializza la questione di fiducia che fa cadere tutti gli emendamenti per poi aggiungere in Transatlantico: «Non so cosa farà  il ministero dell’Economia, una risposta la deve dare. Il ministro per i rapporti con il Parlamento si occupa solo di calendari». Il voto di fiducia è previsto per oggi, prima dovrebbe arrivare l’ordine del giorno della maggioranza che impegna il governo a cancellare la norma che azzera le commissioni sui prestiti e aveva portato alle dimissioni dei vertici dell’Abi, l’associazione delle banche. Domani il voto finale. Ma del caso di ieri si occuperà  la giunta per il regolamento. Anche perché se Lega e Idv protestano a viso aperto, del problema sono consapevoli anche nella maggioranza: «Non è che siccome il governo Monti sta facendo bene — dice il pd Francesco Boccia — ci voltiamo dall’altra parte e facciamo finta che va tutto bene. Mentre Monti lavora alle riforme strutturali noi dobbiamo lavorare alla legge elettorale e ai regolamenti parlamentari».


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