Fiducia giù, banche su

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È il secondo peggior risultato del governo Monti nella conta delle fiducie quello che ha consentito ieri sera alla camera di blindare il decreto liberalizzazioni, nonostante i dubbi sulla copertura finanziaria avanzati dalla Ragioneria dello stato. Stasera, come vuole il regolamento di Montecitorio, ci sarà  il voto conclusivo sul provvedimento ed è assai probabile che un certo numero di deputati vorrà  mandare un segnale ancor più forte all’esecutivo, i numeri potrebbero scendere ancora. Ieri sono stati 449 sì, 79 no e 29 astenuti, peggio l’esecutivo alla camera aveva fatto solo a febbraio, ma sull’impopolare (nel palazzo) decreto «svuotacarceri». Allora i sì erano stati 420 mentre si staglia lontanissima la soglia dei 556 fissata il 18 novembre all’atto di nascita del governo. Soprattutto si allarga la fronda nel Pdl, ormai un deputato su tre tra i berlusconiani nega il sostegno a Monti.
Tanti gli assenti del Popolo della libertà , ben 27 tra i quali Berlusconi e Ghedini. Ancora di più i presenti che non hanno votato la fiducia, 23 astenuti tra i quali soprattutto la pattuglia dei liberali dell’ex ministro Martino e Crosetto che giudicano il decreto troppo debole e gli avvocati come Paniz e Sisto che lo giudicano al contrario troppo duro (per gli avvocati). In sei hanno votato direttamente no, la solita Alessandra Mussolini ma anche i deputati sardi per questioni regionali. A cantare e portare la croce è rimasto il Pd, come sempre granitico nelle presenze (95% del gruppo) e nel voto: 100% di sì. Per intravedere qualche disagio bisogna leggere nella lista degli assenti, tra i quali i deputati Duilio e Baretta, qualcun altro potrebbe venir fuori oggi nel voto di merito. «Bisognerà  che cominciamo anche noi a piazzare qualche messaggio, in forma di astensione, per ora…», ha scritto ieri sera su twitter il deputato bresciano Pierangelo Ferrari. «Così – ha aggiunto – tanto per vedere se Monti si rende conto del peso politico che portiamo sulle nostre spalle». Visto che nella faccenda dell’articolo 18 non sembra essersene reso conto.
Ciò non ostante, disciplinatamente, il Pd ha fatto quello che il governo è l’associazione della banche italiane chiedevano. Con le firme di tutta la maggioranza – due democratici, due del Pdl e uno dell’Udc – è stato presentato un ordine del giorno che chiede al governo (che l’aveva chiesto alla camera) di rimediare all’articolo 27-bis introdotto al senato, quello che ha cancellato le commissioni bancarie sulle linee di credito. Il presidente dell’Abi Mussari è stato a Montecitorio ieri per fare lobby con leghisti e dipietristi, con scarsi risultati. Ma oggi l’ordine del giorno della maggioranza sarà  accolto dal governo e forse già  domani il consiglio dei ministri interverrà  con decreto cancellando la norma pro-cittadini decisa al senato. Le banche, che paventano perdite di dieci miliardi di euro, chiedono un intervento contestuale al decreto per evitare contenziosi legali.
Il decreto scade sabato prossimo, dunque il presidente della Repubblica dovrà  firmare rapidamente la legge di conversione e dovrà  farlo nonostante i problemi di copertura evidenziati dalla Ragioneria generale. Ieri la Lega ha fatto sapere che sarà  ricevuta al Quirinale il 29 marzo per sollevare la questione, comunque tropo tardi. Mentre Italia dei Valori ha inviato una lunga lettera al Colle per invitarlo a non firmare: le critiche della Ragioneria sono circostanziate, sostengono i deputati dipietristi, e in nessun caso possono essere superate da una valutazione politica. L’articolo 81 della Costituzione impone la copertura finanziaria per le leggi di spesa e, ricordano i dipietristi, proprio Napolitano ricorda sempre che i principi della Carta non possono essere alterati. La mancata copertura di alcune misure introdotte per decreto, soprattutto quella in cui si prevede la possibilità  di dare in permuta gli immobili del demanio anche quando sono utilizzati dalla pubblica amministrazione, non è uno scherzo. Specie, aggiungono efficacemente quelli dell’Idv, nel momento in cui il governo sta spingendo per la messa in Costituzione, nel medesimo articolo 81, del pareggio di bilancio.
La soluzione? Oggi in aula prenderà  la parola il vice ministro Grilli, o forse proprio il ministro titolare dell’economia cioè Monti, per garantire sulla copertura. Al Quirinale dovrebbe bastare.


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