by Editore | 30 Marzo 2012 7:53
MILANO — Palazzo dei Cigni, per un giorno, diventa il teatro dell’assurdo. Il protagonista assoluto è Emilio Fede, il suo studio da direttore che affaccia sul laghetto artificiale di Milano 2 si trasforma di colpo in una roccaforte mentre tutti i giornalisti, le guardie giurate, i tecnici, gli operatori si fanno involontarie comparse in questa insolita uscita di scena che a tratti pare davvero una recita.
Il giorno dopo il licenziamento di Emilio Fede inizia con lui che dice di non essere stato licenziato. Arriva alla redazione del Tg4 di mattina, come al solito, e celebra questa «bella giornata di primavera, è tutto fiorito, una giornata splendida». Poi si chiude nel suo ufficio, lasciando oltre la porta i suoi perplessi giornalisti. «La situazione è un po’ imbarazzante, kafkiana», ammette qualcuno di loro. Nessuno sa bene come comportarsi, cosa dire. Tutti sanno del divorzio. Tutti sanno che è stata una cosa improvvisa. Tutti sanno di avere un nuovo direttore, Giovanni Toti. Eppure Fede è lì, come sempre, e c’è anche chi sostiene che in mattinata abbia provato a curare la scaletta dell’edizione del pranzo del tg. Alla fine i giornalisti hanno preferito fare da soli. Nel frattempo iniziano a uscire notizie inquietanti. Le voci si rincorrono dentro e fuori i corridoi degli studi Mediaset: «Fede si è asserragliato nel suo ufficio». E nel suo ufficio in effetti l’ex direttore ci rimane fino a pomeriggio inoltrato.
È una stanza a piano terra e la parete che affaccia sul vialetto è tutta vetri, l’ideale per i tanti giornalisti che dall’altra parte possono osservare (increduli) Fede — i piedi sul tavolo e le mani portate più volte alla bocca, per mangiarsi le unghie — che discute fitto, fa telefonate. Poi si volta verso il capannello e mostra un foglio su cui ha scritto: «Vi voglio bene, ma…». Non posso parlare, è il proseguimento evidente. La sua assistente lo esplicita: «Oggi non parlerà più». Alle 14.30 entra nel suo ufficio la sua scoperta, Raffaella Zardo. Le tende si chiudono e non si apriranno un’altra volta. Nel frattempo si dice che l’ex direttore stia trattando con il capo del personale, cercando di ricucire uno strappo difficilmente sanabile. Le ore passano, agli studi arriva Toti, sorridente, pronto a firmare la sua prima edizione del Tg4, quella delle 19: «Sono onorato che l’editore mi abbia rinnovato la fiducia. Al di là del convulso epilogo di queste ore, resta un onore raccogliere l’eredità di un grande della televisione».
Alle 17.30 Fede cambia idea e decide di parlare. Si offre a flash e telecamere sorridente e, dopo l’amarezza, sfodera un inatteso mea culpa: «Sono stato capriccioso, testardo, l’azienda aveva ragione. Tutto questo era in ballo da mesi: ho continuato a rinviare perché volevo tirare fine anno ma l’azienda non ha più potuto aspettare. Ora ci siamo capiti». Ovvero, le dimissioni sono state firmate. La retromarcia prosegue: «Ho scritto una lettera di scuse a Confalonieri. Ma non ho mai detto che faceva parte di un complotto per farmi fuori». Quindi ribadisce: «Non si tratta di un addio, ma di un arrivederci. Ora continueranno le trattative per dei programmi in prima e seconda serata». Parole ripetute anche nel video di saluto (cautamente registrato), mandato in onda in coda al primo Tg4 non «suo» dopo vent’anni. Peccato che, anche in questo caso, fonti interne all’azienda abbiano tenuto prontamente a precisare: «Non ci sono trattative per collaborazioni future con Fede. Per noi in questo momento il rapporto è da considerarsi chiuso».
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