Fassina, il lavoro e la persona basi del riformismo

by Sergio Segio | 8 Marzo 2012 11:10

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Se si considera il trentennio di prevalenza della cultura e delle politiche della destra liberista, sul piano intellettuale a livello internazionale tutti i temi posizioni di sinistra si sono confrontate e si confrontano con le tesi liberiste su tutti i temi delle politiche economiche e sociali. Il problema è che, mentre le tesi liberiste sono state realmente alla base delle strategie politiche che hanno orientato la crescita, le tesi alternative, dalla seconda metà  degli anni 90, non hanno avuto in pratica accesso al dibattito politico. Questa afasia della sinistra è condizione della straordinaria capacità  che la destra liberista ha avuto di trasformare il fallimento del suo pensiero in una vittoria politica, visto che in Europa, da che la crisi è cominciata, la destra ha vinto tutte le elezioni politiche.
Il libro di Stefano Fassina «Lavoro e libertà », recentemente edito da Donzelli rappresenta un segnale nella direzione opposta: data la posizione che l’autore ricopre nel gruppo dirigente del Pd, come responsabile delle politiche economico-sociali, può segnalare il recupero in atto da parte dei gruppi dirigenti del centro-sinistra della capacità  di partecipare alla elaborazione di una lettura critica dei processi in atto, come base per le possibili risposte.
Alla base degli squilibri che hanno determinato la crisi sta, per Fassina, la distribuzione del reddito e la crescita delle disuguaglianze. La lotta per una maggiore uguaglianza era il principale terreno sul quale la sinistra aveva definito la propria identità . Il riformismo del Novecento in tutte le sue componenti di sinistra, liberaldemocratica, cattolico-sociale – aveva capito che la lotta per una maggiore uguaglianza non era solo il perseguimento, peraltro importante, della giustizia sociale, ma era condizione di uno sviluppo sostenibile. E forse un limite di parte del neo-keynesismo quello di focalizzare esclusivamente le politiche di deficit spending. Queste sono politiche necessarie in tempo di crisi, ma il cuore della risposta che il riformismo dette alla crisi degli anni ’30 fu un modello distributivo tale da assicurare sistematicamente una crescita della domanda adeguata alla qualità  ed al ritmo dello sviluppo desiderato e che si articolò nelle politiche dei redditi, nei sistemi fiscali progressivi, nelle politiche previdenziali.
I fatti parlano chiaro: nei «30 anni gloriosi», nei quali l’approccio riformista prevalse, nei paesi avanzati la crescita economica fu la più forte, le disuguaglianze diminuirono vistosamente, non ci furono crisi finanziarie ed il livello del debito totale, pubblico e privato, rispetto al Pil non aumentò. Nei trenta anni successivi, nei quali prevalse l’approccio neo-liberista, le disuguaglianze sono aumentate, si sono succedute grandi crisi finanziarie, il debito totale è aumentato in tutti i paesi avanzati poiché la domanda è potuta crescere solo attraverso l’aumento del debito.
I fatti hanno falsificato un altro assunto del pensiero liberista: che la globalizzazione guidata dai mercati sia un processo in cui tutti vincono. Il mondo del lavoro è stato sicuramente perdente. Altro perdente potrebbe essere il mondo occidentale che rischia di fare la fine dell’apprendista stregone, trovandosi ora di fronte alle sfide della globalizzazione che esso stesso ha promosso, carico di debiti e di contraddizioni. La sconfitta del mondo del lavoro non riguarda, secondo Fassina, solo la sostanziale e generale perdita di quota nella distribuzione del reddito, ma anche la perdita di ruolo e di soggettività  politica. E questa non dipende solo dalle politiche liberiste, ma anche da una defaillance culturale della sinistra che va superata.
Occorre innanzitutto recuperare la diversa visione dello sviluppo che si affermò col pensiero riformista negli anni ’30 per cui scopo della crescita economica non deve essere l’aumento del potere economico di un paese, ma l’aumento del benessere e dei diritti delle persone. Il benessere va, tuttavia, definito rispetto a nuovi bisogni, che non sono più quelli soddisfatti col progetto di welfare state. Le parole chiave di Fassina sono «libertà  e lavoro» e «global green new deal» che sintetizzano i nuovi bisogni. Il tema della liberazione del lavoro è un tema storico della sinistra, esso scomparve nel «compromesso socialdemocratico» che si svolse all’interno del modo di produzione fordista, ma oggi esistono le condizioni oggettive per recuperarlo anche se le politiche necessarie vanno elaborate anche in dimensione europea.
Un modello di sviluppo segnato da quelle parole chiave implica un sistema di valori nuovo che si interseca, come Fassina giustamente sottolinea, con una visione dello sviluppo come quella sostenuta nei testi della Chiesa Cattolica che fa della crescita della persona umana lo scopo principale della crescita economica e collide con la cultura edonistica che ha posto il consumo ed il consumatore al centro del processo economico.
Quello che dobbiamo sperare è che la capacità  di analisi critica dell’esistente posta a base dell’elaborazione delle politiche che caratterizza il libro di Fassina divenga lo standard di una nuova generazione di dirigenti riformisti.

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