Editoria, pure l’Europa paga
Dal 1990 a oggi, i giornali italiani – testate edite da cooperative di giornalisti, fondazioni o enti morali; quotidiani organi di partito; fogli diffusi all’estero – hanno ricevuto circa 850 milioni di euro di contributi pubblici.
FONDO PORTATO A 120 MLN. Per il 2012, il fondo per il sostegno all’editoria cartacea, che doveva essere di 47 milioni, è destinato a essere rifinanziato fino ad arrivare a 120 milioni.
I CONTRIBUTI INDIRETTI. Non solo. Negli ultimi 20 anni, i giornali cartacei hanno goduto dei benefici dovuti all’elargizione dei cosiddetti «contributi indiretti»: sconti su servizi postali, credito di imposta, Iva agevolata e forfetizzata sulle rese. Un fiume di danaro difficile da quantificare perchè distribuito in mille capitoli di spesa che fanno riferimento a diversi organi di competenza.
L’ANOMALIA ITALIANA. Per queste caratteristiche, il caso italiano è stato a lungo considerato un’anomalia nel panorama europeo, soprattutto da chi si oppone a qualsiasi tipo di sostegno pubblico all’editoria in nome del principio di libera stampa in libero mercato. Ma l’Italia è davvero un’anomalia?
SOLDI PUBBLICI SLEGATI DALLA QUALITà€. In realtà , il finanziamento pubblico ai giornali, sotto diverse forme, esiste in molti Paesi Ue. Uno studio del 2011 del Reuters Institute for the study of journalism dell’università di Oxford – Public Support for the media, a six-country overview of direct and indirect subsidies – ha preso in esame i diversi tipi di sussidi che i giornali ricevono in Finlandia, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e negli Stati Uniti, arrivando alla conclusione che non c’è nessuna correlazione tra il sostegno al sistema dei media con i soldi pubblici e il miglioramento della qualità dell’informazione.
La Finlandia sborsa 59 euro annui per abitante
Secondo l’indagine della Reuters realizzata da Rasmus Kleis Nielsen e Geert Linnebank, tra aiuti diretti e indiretti lo Stato italiano spende in media 15 euro all’anno per abitante per sostenere i giornali.
SOLO TERZI IN CLASSIFICA. La Finlandia è il Paese che elargisce la quantità maggiore di fondi pubblici (59 euro annui per abitante), seguono la Francia (20), la Gran Bretagna (12), la Germania (6,4) e gli Stati Uniti (2,6).
Nella classifica l’Italia è terza, ma ha un ritorno irrisorio in termini di nuovi lettori. Il nostro Paese è risultato infatti ultimo nella graduatoria per copie vendute ogni 1.000 abitanti: 103. In Finlandia sono 483, in Francia 152, in Germania 283, nel Regno Unito 307 e negli Usa 200.
IN GERMANIA MENO SOLDI, MA PIà™ LETTORI. Confrontando poi il dato italiano con quello tedesco, emerge che la Germania ha speso il 40% in meno dell’Italia in sussidi pubblici alla stampa, ma i giornali tedeschi hanno raggiunto quasi il triplo dei lettori di quelli italiani.
In Germania, inoltre, l’Iva destinata ai giornali non è del 19% come per le altre imprese, ma del 7%. In Italia l’imposta è invece al 4%.
INGHILTERRA AIUTI PER 594 MLN DI STERLINE. Il finanziamento pubblico negli altri Paesi europei non è destinato solo alla stampa, ma a tutto il mercato dei media, in un contesto che vede la distribuzione della raccolta pubblicitaria egualmente divisa tra i differenti mezzi di comunicazione e non, come accade in Italia, a quasi esclusivo vantaggio della televisione.
Anche nella liberista Gran Bretagna, paladina del principio di non interferenza dello Stato nel mercato, il governo non è stato insensibile alle necessità dei media. Solo nel 2008 la stampa inglese ha ricevuto 594 milioni di sterline in contributi indiretti, cioè in agevolazioni fiscali.
In Europa viene premiata l’innovazione
Un confronto tra il sistema italiano di finanziamento pubblico ai giornali e quello europeo è stato fatto nel 2011 anche dall’Istituto di economia dei media (Iem) della Fondazione Rosselli.
«Il contributo statale ai giornali esiste in molti Paesi europei, sotto forma di contributi diretti e indiretti. Dalla Francia alla Svezia, dal Belgio alla Germania», ha detto aLettera43.it Bruno Zambardino, esperto di studi economici nel settore dei media e coautore dell’indagine Iem. «Ma i criteri con cui vengono assegnati i sussidi negli altri Paesi europei, per esempio in Francia, però sono diversi dai nostri: si premia la capacità di innovazione di un’impresa editoriale, la buona occupazione, c’è un sistema più severo di valutazione dell’impatto generato da quell’investimento pubblico e c’è una crescente attenzione per la produzione di contenuti online».
PARIGI: 20 MLN PER IL DIGITALE. Nel 2011, Parigi ha costituito un fondo di 20 milioni di euro per sovvenzionare le start up giornalistiche digitali. «Si chiama Digital only», ha spiegato Zambardino, «e rientra nel fondo pubblico per l’editoria. Anche in Catalogna, in Spagna, c’è un’attenzione particolare per gli editori digitali: i due terzi del fondo di 8 milioni che la Regione autonoma ha messo a disposizione per finanziare i giornali sono destinati all’informazione online».
In Italia scarsa trasparenza sulle cifre dei contributi indiretti
In Italia invece il primo problema è la trasparenza. «È difficile ottenere i dati sugli investimenti che lo Stato fa nell’industria editoriale in generale», ha sottolineato Zambardino, «e in quella giornalistica in particolare. Le informazioni sono frammentate e parziali. Per esempio i contributi indiretti ai giornali sono quasi impossibili da censire».
Tra questi ultimi, fino alla loro abolizione nel 2010, l’ammontare più rilevante è stato rappresentato dalle tariffe agevolate per la spedizione dei prodotti editoriali. Poste Italiane applicava agli editori una tariffa scontata rispetto al prezzo normale e lo Stato versava la differenza in compensazione. Ma dal confronto tra le contabilità dei due enti balza all’occhio la discrepanza dei numeri.
IL BALLETTO DELLE CIFRE. Le cifre riportate dai consuntivi di Poste Italiane, sotto la voce «ricavi da compensazione tariffe editoria», sono diverse da quelle, contabilizzate come «uscite di competenza», pubblicate dalla presidenza del Consiglio: per il 2009 per esempio sono stati contabilizzati 220 milioni di euro in compensazioni contro i circa 50 messi a bilancio da Palazzo Chigi. Per il 2008, la presidenza del Consiglio ha quantificato un’uscita di 149,4 milioni, Poste Italiane una corrispondente entrata di 247.
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