by Editore | 31 Marzo 2012 17:31
Ma se questa è l’impietosa realtà dei numeri, tra i protagonisti del mercato italiano dell’energia si assiste ormai a un «tutti contro tutti» che non promette nulla di buono. La stessa Autorità , cioè il certificatore dell’incombente tracollo finanziario, si inventa un aumento di tariffa in due tempi per spingere il governo a qualche contromisura urgente. Il ministro per lo Sviluppo Corrado Passera, tirato per la giacca, conferma che «le storture» verranno corrette, gettando così nel panico tutti i produttori «verdi», che da qualche settimana sono sulla graticola in vista di una revisione del sistema degli incentivi pubblici. Ovviamente al ribasso, e, chissà , magari in parte anche retroattiva. Nel frattempo i produttori «tradizionali», ad esempio quelli che nelle centrali elettriche usano il gas come loro fonte, stanno a guardare e non vedono l’ora di riguadagnare qualche posizione: a parte l’Enel (coperta su tutti i fronti, dalle rinnovabili al carbone) è dal 2010 che faticano addirittura a coprire il costo del combustibile, e i loro margini sono sempre più risicati.
Lo sviluppo delle rinnovabili, in questi ultimi anni, ha rivoluzionato il mercato italiano. È curioso: il governo Berlusconi, che nel 2008 aveva annunciato in grande stile il ritorno al nucleare dell’Italia, passerà invece alla storia energetica del Paese come l’esecutivo che più ha fatto per la «green economy», lanciata dai diversi «conti energia» che si sono succeduti. Gli strumenti per incentivare il solare sono stati così appetitosi e la legislazione è stata così generosa (si ricordi il decreto salva-Alcoa) che nel 2011 in nessuna parte al mondo sono stati installati tanti pannelli come in Italia: 9,2 Gigawatt contro i 7,5 della Germania e i 2,2 della Cina. Denaro quasi tutto finito in Asia, Usa e Germania, le cui aziende dominano la scena internazionale. Ma questa sarebbe un’altra storia. Secondo le regole del mercato, poi, l’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili gode di diritto di precedenza nell’immissione al consumo. Quando c’è il sole o tira il vento, quell’elettricità è sempre la prima ad essere consumata, e la prima ovviamente ad essere pagata. Insomma: dalle nove del mattino alle sei di sera, durante le ore «di punta», il fotovoltaico (più caro) ha iniziato a farla da padrone, spodestando le centrali a gas dalla loro precedente posizione di privilegio. Gli incrementi di costi non finiscono qui, perché sole e vento non sono garantiti, non sono programmabili, e qualche centrale «tradizionale» deve sempre essere tenuta accesa, pronta a subentrare. Un servizio che non è gratis, si paga, e contribuisce ad aumentare gli oneri totali che rientrano nel conto del sistema «rinnovabili». Per di più, con qualche altra conseguenza indesiderata: nella scorsa estate, ad esempio, le pressioni sui margini economici dei produttori di elettricità tradizionale (e il loro desiderio di recuperarli) hanno avuto come risultato che nelle ore serali il prezzo dell’energia elettrica ha superato quello diurno. Cosa mai vista prima, con tanti saluti agli effetti di risparmio della tanto sbandierata «tariffa bioraria» e alle lavatrici di notte.
Se questo è lo scenario alle spalle dell’esplosione della bolletta degli italiani — più dell’incremento del prezzo internazionale del petrolio e del cambio euro-dollaro — resta la domanda principale: ci sono vie d’uscita? Nella relazione che il presidente dell’Autorità Guido Bortoni ha inviato solo pochi giorni fa al Parlamento si profila sul versante dei consumatori un nuovo rischio: la morosità dei clienti, che «sta diventando un tema particolarmente critico». Famiglie e piccole imprese, insomma, iniziano a soffrire a livelli insoliti.
Da tempo si evoca la necessità di una «manutenzione» radicale delle voci della bolletta. Lo aveva fatto Stefano Saglia nel precedente governo di centrodestra. Lo fanno oggi Federico Testa e Enrico Morando del Pd, e nel mirino non entrano solo gli incentivi alle rinnovabili, ma anche tutti gli altri costi, comprese le incentivazioni «a pioggia» ai grandi consumatori, come acciaierie e cementifici. In generale, dice Testa, bisognerebbe «ripulire» la bolletta da cima a fondo, rivedere i criteri per la concessione delle agevolazioni e spostare sulla fiscalità generale tanti oneri che con l’energia non c’entrano nulla.
Basta con la bolletta «bancomat», dunque. Ma da questo orecchio il governo Monti pare non sentirci proprio.
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