by Editore | 16 Marzo 2012 15:20
La proposta di eliminazione della indennità di mobilità per i lavoratori licenziati collettivamente significa il passaggio da una tutela reale posta a difesa dello status di lavoratore ad una elargizione di una modesta somma di denaro per dodici mesi a chi, ormai disoccupato, viene lasciato nel libero mercato del lavoro per «incoraggiarlo» o, meglio, «costringerlo» ad abbassare le sue pretese, anche minime, per ricercare una nuova occupazione.
L’arretramento e la paccata di risparmi che la Fornero intende mettere sulle spalle dei lavoratori licenziati è reso evidente dalla considerazione che oggi, ad esempio, un cinquatreenne ha assicurati tre anni per sopravvivere con l’indennità di mobilità e tentare di trovare un nuovo lavoro, mentre con la proposta governativa dopo un anno non avrà più diritto a percepire alcun sussidio di disoccupazione.
Cosa succederà in concreto qualora l’ipotesi divenga legge è facile immaginarlo: di fronte ad una pensione non più raggiungibile prima di 15 anni (sempre grazie alla Fornero) il lavoratore anziano o cade nella più completa disperazione personale o da disperato accetterà condizioni peggiori di quelle che già oggi un giovane precario accetta. Il che è tutto dire visto che l’esercito di riserva della disoccupazione giovanile è già al 30%.
Il secondo elemento discriminante della proposta Monti/Fornero, presentata come scelta di buon senso, è quello che vuole che la Cassa integrazione straordinaria sia concessa solo quando sia affermata la ripresa dell’attività produttiva con l’espressa eliminazione della causale per procedura concorsuale con cessazione di attività (art. 3, L. 223/1991). Che ci sia poco buon senso anche in questa seconda proposta è presto evidenziato se si considera che durante le procedure concorsuali i liquidatori se da un lato non hanno all’orizzonte l’obiettivo della ripresa della attività , hanno comunque bisogno di tempo per non disperdere il capitale umano e non svalorizzare gli assets che potranno ricollocare a nuovi imprenditori, con ciò salvaguardando allo stesso tempo capacità produttiva, posti di lavoro e interessi dei creditori.
Quel che vuole il governo viene confessato immediatamente dopo aver proposto l’amputazione delle causali di Cigs e cioè la ricerca, questa volta anche senza versare neanche una ipocrita lacrima, di abbassamento dei livelli di tutela dei lavoratori ledendo la possibilità di restituzione delle quote di accantonamento del Tfr maturato in costanza di Cigs qualora il lavoratore cessi dal rapporto di lavoro prima della ripresa lavorativa.
E’ evidente allora che la proposta Monti/Fornero è in perfetta simbiosi con quanto prospettato nel Libro Bianco di Maroni nel 2001 e cioè di rendere più povero, debole e precario il lavoratore spostando la tutela dal rapporto di lavoro al mercato, sapendo che nel mercato il disoccupato è ancora più soggetto di sfruttamento e preda della forza contrattuale di chi offre lavoro alle condizioni che egli stesso, libero da ogni forma di solidarietà sociale, riesce ad imporre secondo le impari regole del mercato.
Non di «riforma» degli ammortizzatori sociali, dunque, il governo dovrebbe parlare, ma di ritorno a liberali meccanismi assicurativi che di equo, secondo principi di giustizia sociale contenuti della Carta costituzionale, poco, se non nulla, hanno.
*Professore di Diritto del lavoro nell’Università Politecnica delle Marche
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