by Editore | 9 Marzo 2012 9:01
Dopo la Cirenaica tre giorni fa, il Fezzan. Ieri il quotidiano algerino Le Temps d’Algerie ha scritto che Abdelmadjid Sefi al Nasr, pur essendo membro del Consiglio nazionale di transizione guidato da Mustafa Abdel Jalil, «nei prossimi giorni» annuncerà la separazione della terza regione storica dalla Libia e la sua costituzione come Stati indipendente. La «nuova Libia» rischia di andare in pezzi. Due giorni dopo, l’annuncio venuto da Bengasi, della proclamazione di una regione (se non proprio, ancora, di uno Stato) semi-autonoma da Tripoli e dalla Tripolitania, con sotto terra i due terzi del petrolio. Abdel Jalil, in un discorso alla tv statale, ha lanciato accuse contro «gli infiltrati e i fedelissimi dell’ex-regime» che starebbero tentando di «utilizzare» i cirenaici in quello che ha definito «l’inizio di una cospirazione», interna, araba e internazionale contro la nuova Libia Il leader del Cnt ha minacciato anche l’uso «della forza». Immediata la risposta da Bengasi.
Ahmed al-Zubair al Senussi, anche lui membro del Cnt e pronipote di re Idriss deposto da Gheddafi nel ’69, forte della sua fresca nomina a capo del Consiglio federale di Barqa (il nome arabo della Cirenaica), ha detto che la decisione di dichiararsi regione (semi)autonoma è «definitiva e irreversibile». In una intervista all’agenzia di stampa tedesca Dpa ha respinto «l’appello al dialogo» volto a rinunciare alla «dichiarazione di Barqa» in cambio della garanzia di una «regione federale». Quello scleto è «un sistema che garantisce che la nostra regione non verrà nuovamente marginalizzata». In quanto alla minaccia dell’uso della forza ventilata da Abdel Jalil, la risposta di al Senussi è stata sprezzante: «Se ha la forza, lasciategliela usare» ma «lui non ha davvero la forza per controllare quello che sta avvenendo a Tripoli o nelle zone occidentali dove si verificano gli scontri tribali». Ha anche negato – ovvio – che la decisione della Cirenaica sia legata al controllo del petrolio della regione. «Il petrolio è per i libici. Non vogliamo controllarlo».
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