by Editore | 8 Marzo 2012 8:17
A New York quest’anno le Nazioni Unite dedicano l’8 marzo alle contadine, e non per un giorno soltanto. La 56a Sessione della Commissione sullo Status delle Donne (CSW56) è in corso al Palazzo di vetro dal 27 febbraio e durerà fino al 9 marzo, per sviluppare tutto quello che ci può essere intorno a un argomento che ha per titolo: «Potenziamento delle donne rurali nel ruolo per lo sviluppo e l’eliminazione della povertà e della fame». Una grande responsabilità , quello delle donne che lavorano la terra, soprattutto in quanto la maggior parte di loro è esclusa dalla proprietà e non ha accesso né alle risorse né al credito.
In particolare il 70% dei 1.400 milioni di «poveri» nei paesi in via di sviluppo, vive in aree rurali: un terzo nell’Africa sub-sahariana, e circa la metà in Asia meridionale. D’altra parte l’agricoltura, che nelle aree rurali fornisce 86% del sostentamento e impiega circa 1.300 milioni di persone, è sostenuta per il 60-80% dalle donne che però raramente hanno diritti sulla terra. Donne che, a loro insaputa, sono state riconosciute dalla più importante organizzazione internazionale sui diritti umani, come «le più potenti agenti di cambiamento mondiale», in quanto l’economia di sussistenza dipende in gran parte dal loro lavoro quotidiano.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha chiaramente detto che «i Paesi dove le donne non hanno diritto alla proprietà della terra o accesso al credito, hanno una maggior percentuale di bambini malnutriti»; mentre Navi Pillay, dell’Alto Commissario per i Diritti Umani, fa un appello in cui insiste sul fatto che «il fallimento di sfruttare il potenziale delle donne è un problema globale». Questo perché le stime su cui stanno lavorando all’Onu, rivelano che se le donne avessero lo stesso accesso alle risorse produttive degli uomini, potrebbero aumentare la produttività nelle aziende del 20-30%, sollevando dalla fame circa 150.000.000 persone. Come sottolinea Michelle Bachelet, sottosegretaria generale e direttrice esecutiva di UN Women, «gli studi dimostrano che alti livelli di parità tra i sessi correlano positivamente con più elevati livelli di prodotto pro capite nazionale lordo».
Ipotesi confermate anche da uno studio dell’Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari, citato nel Rapporto Unicef di qualche anno fa, che sostiene l’esistenza di un’equivalenza tra «lo stato nutrizionale dei bambini e il potere decisionale delle donne»: i bambini sottopeso sotto i 3 anni nell’Asia meridionale potrebbe diminuire con 13,4 milioni di bambini malnutriti in meno, solo se «se le donne e gli uomini avessero la stessa influenza nelle decisioni»; così come «in Africa occidentale e centrale, quando le risorse sono scarse, le donne danno generalmente la precedenza all’alimentazione della famiglia». In Camerun, per esempio, «le donne che hanno un reddito di lavoro, spendono il 74% delle proprie risorse per integrare le scorte alimentari della famiglia, mentre gli uomini spendono soltanto il 22% del proprio reddito per i generi alimentari».
Il futuro dell’umanità è quindi racchiuso nella fine della discriminazione di genere.
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