Donne che riflettono in una grande caverna
Un termine molto in voga in Francia e negli Stati Uniti per indicare un’autobiografia più legata alle emozioni soggettive che alla verità dei fatti.
Ed è proprio qui, sul terreno del «memoir», che oggi s’incontrano e si confrontano narratori e saggisti, con le loro diverse forme di scrittura. Appartiene a questo genere ibrido anche l’ultimo libro di Marina Piazza, L’età in più, pubblicato da Ghena, un marchio editoriale appena nato, che esordisce con il fermo e battagliero proposito di evidenziare «le culture e i saperi delle donne» (pp. 173, euro 13, oggi alle 18 la presentazione alla Casa internazionale delle donne di Roma). Già il titolo, mutuato da un altro titolo famoso – L’amore in più, di Elisabeth Badinter, appena riedito da Fandango -, ci rivela l’idea di fondo: niente è scontato. E se per la Badinter è l’amore materno a non essere scontato, per Marina Piazza è il modo d’invecchiare a non essere più così prevedibile, fisso, immutato. L’esperienza personale della stessa autrice suggerisce che c’è una modificazione, un cambiamento: oggi forse le donne (perché è di loro che si parla nel libro) entrano in maniera diversa dentro «la grande caverna della vecchiaia».
Ma attenzione… L’età in più non è una «semplice» testimonianza di vita. O una riflessione generica sull’invecchiamento. Non è nemmeno un saggio di denuncia sociale, scritto per mettere sotto accusa le infinite manchevolezze del nostro paese (che certamente «non è un paese per vecchie», tanto per citare il bel testo di Loredana Lipperini). Per farla breve, si tratta di un’operazione ambiziosa, che si muove tra il dentro e il fuori, tra i sentimenti e la ragione, tra l’analisi e il racconto. Una ricerca che spinge la lettrice (o, ci auguriamo, il lettore) a chiedersi: cosa significa questo libro per chi l’ha scritto? a quale necessità interiore risponde?
È la stessa Marina Piazza a spiegarlo: a un certo punto, confessa, «ho sentito il bisogno di far affiorare sprazzi della mia vita di prima». Di prima: cioè di quando «andavo per il mondo… e vai e vai e non ti fermi… ma sì che ti fermi, c’è un segnale indicatore…». E il segnale, nel caso di Marina, è un compleanno importante, che pesa, che la costringe a riflettere e le fa venire voglia di fermare i suoi pensieri in un libro. Ma come scriverlo, questo libro che parla di corpi invecchiati e di passioni che si spengono? «Non in modo sistematico», dice Marina Piazza. Piuttosto «attraverso fogli sparsi, in cui si mescolano passato, presente, futuro, richiamati da un particolare che torna alla memoria, da un evento, da un incontro, da un paesaggio». E così, in otto agili capitoli, l’autrice ci racconta (partendo rigorosamente da sé) una storia inedita: la storia di una «generazione senza precedenti» che ora si trova a fare i conti con il più difficile passaggio d’età . Un’autobiografia di gruppo, dove l’io e il noi si alternano in continuazione.
Helen Barolini, una narratrice italo-americana, disse in un’intervista: «Se non ci sono libri che mi dicono chi sono, li scriverò io». Bene. Marina Piazza ha seguito il suo consiglio. Perché L’età in più, questo è il punto, narra i guadagni e le perdite, la confusione e l’audacia, i progetti e le aspettative delle donne di una generazione particolare. Che poi è quella del femminismo. Attraversata dalla politica. Avida di cambiamenti sociali e personali. Una generazione che ha come segno distintivo la tensione irriducibile alla conoscenza di sé. Ma come si collocano queste donne, con la loro inedita consapevolezza, di fronte alla lotta quotidiana a cui ci costringe la vecchiaia? Con quali strumenti (nuovi, vecchi…) la «generazione senza precedenti» cerca di affrontare l’antica battaglia tra il presente e il futuro, «tra una rotondità piena di esperienza e l’orrore del vuoto che ci attende»? Ecco le domande che si pone, e ci pone, Marina Piazza. Domande pesanti, vergate però con mano leggera: «Ho scritto questo piccolo libro come se stessi parlando in un incontro tra le mie donne, le mie amiche, tra un bicchiere di vino e una sigaretta (fumata sul terrazzo per non disturbare quelle noiose salutiste)».
Ed è alle sue amiche che l’autrice si rivolge, in realtà , nel capitolo conclusivo. Quando, dopo aver ripercorso gli anni dell’entusiasmo e dell’allegria, dopo aver valutato le rotture e le sofferenze, le fughe, i progetti, i desideri e le disillusioni, è costretta a costatare che nel processo d’invecchiamento i tratti comuni, generazionali, tendono a sbiadire. È il percorso individuale a prevalere. E allora anche una donna della «generazione senza precedenti» non può fare altro che continuare a interrogarsi e a chiedersi cosa sia, alla fin fine, questa grande caverna della vecchiaia… Un luogo pieno soltanto «di sterpi e di sassi»? O invece «un buon posto per rimettere ordine»?
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