Dario Fo Dai quadri al teatro l’arte del Nobel diventa una mostra

by Editore | 23 Marzo 2012 7:39

Loading

Per tenere a bada l’effervescente figliolo mamma Pina gli apparecchiava sul tavolo della cucina fogli bianchi, matite e gessetti colorati: «Và  bel testòn, spantégame una frappata di belle figure!». Sapeva che Dario era tentato dal disegno quasi più che dalle ragazzate. Così quel giorno poteva stare tranquilla.
Applaudito in tutto il mondo come teatrante, premiato con il Nobel della letteratura (uscirà  prossimamente per Guanda Il paese dei Misteri Buffi), Dario Fo si è sempre sentito prima di tutto un pittore: «Attore dilettante e pittore professionista». Non è la battuta accidentale di un anarchico snob, ma l’orgogliosa rivendicazione di un talento genuino. Sbocciato da bambino in riva al lago Maggiore. Certificato dalla pagella delle elementari: scrittura 6, disegno 9. Cresciuto al liceo artistico di Brera: «Il primo anno avevo 9 di pittura dal vero e disegno dal nudo». Maturato all’Accademia, dove due maestri del ‘900, Funi e Carrà , gli hanno insegnato la padronanza tecnica e uno stile rimasto sempre fedele alla figurazione. Tenuto in allenamento per tutta la vita, sebbene dietro le quinte, al servizio del teatro. Oggi consacrato da una grande mostra, “Dario Fo a Milano. Lazzi, sberleffi, dipinti”, prodotta dal Comune con la Fondazione Mazzotta, curata da Felice Cappa, allestita nello spazio più nobile della città , Palazzo Reale.
Apre domani, nel giorno del suo 86mo compleanno. Perché solo adesso, non è un mistero buffo: la giunta Pisapia gli vuole bene, quelle di centro-destra faticavano a sopportarlo. Né si può dire che lui abbia smesso di provocare. Nelle prime sale, dedicate agli ultimissimi dipinti, usa la pittura come prosecuzione della satira politica con altri mezzi. Grandi tele ispirate alla cronaca raccontano il terremoto dell’Aquila, ritraggono l’allegorico destino di Roberto Saviano (tra un leone e un San Sebastiano, simboli di forza e di martirio), denunciano l’alienazione dei lavoratori nella Fiat di Marchionne, operai senza volto, manichini ridotti a ingranaggi: la scena ricorda Léger, con Chagall uno dei suoi pittori preferiti.
Esuberante come Fo, la mostra tracima, dilaga, incuriosisce, sorprende. Oltre 400 i pezzi: quadri e disegni, ma anche maschere, marionette, burattini, costumi teatrali (e 25 video). Ogni sala, un capitolo della sua vita. Ecco un ritratto degli amici del Santa Tecla, il locale milanese dove suonava il jazz con Jannacci, Gaber, Celentano (Fo è al trombone). Ecco una tela enorme (8 metri per 6) col Paradiso Terrestre, storico fondale di un Mistero Buffo. Ed ecco gli attori della Commedia dell’Arte che sfilano nel giardino di Varsailles: «È una scenografia che ho dipinto quando la Comédie – Franà§aise mi ha invitato a recitare Molière a Parigi». Una sala è dedicata a Franca Rame, la compagna di una vita. Galeotta fu la foto di lei, bellissima, vista una sera a casa di Franco Parenti. È stata Franca, attrice e figlia di teatranti, a dirottarlo verso il palcoscenico. Sono insieme anche nel quadro – icona della mostra, Il Quarto Stato con Dario e Franca. Un’altra sala ospita gli omaggi ai pittori del passato, da Cosmè Tura al Caravaggio. Il percorso, anticronologico, si chiude sulle prime prove giovanili: fumetti, autoritratti, bozzetti per uno stand della Fiera e per la decorazione di un cinema. Per sbarcare il lunario, Fo dipingeva di tutto: «Il primo viaggio a Parigi sai come l’ho pagato? Con la decorazione di una cappella del cimitero Monumentale».

Post Views: 177

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/03/dario-fo-dai-quadri-al-teatro-laarte-del-nobel-diventa-una-mostra/