Dalla Corea con furore
«Noi siamo stati chiamati per fare il lavoro sgradevole, mica per distribuire caramelle. Per quello bastavano i politici di prima». Per Elsa Fornero – intervistata domenica da Report – gli italiani sono dei bambini e il parlamento è una fiera di paese. Parole mai sentite. Tantomeno da un ministro non eletto da nessuno e alla vigilia di un confronto reale su cui governo e partiti che lo sostengono si giocano il tutto per tutto.
La lezioncina non è casuale. Come una coppia ben collaudata, Fornero affonda e Monti rincara. Da Seoul infatti il premier cita l’immortale massima democristiana di Giulio Andreotti – «meglio tirare a campare che tirare le cuoia» – rovesciandola: «Per noi (tecnici, ndr) nessuna delle due espressioni vale perché l’obiettivo è molto più ambizioso della durata ed è fare un buon lavoro». Tanto buono che, aggiunge subito, «se il paese attraverso le sue forze sociali e politiche non si sente pronto non chiederemmo di continuare per arrivare a una certa data. Finora il paese – conclude Monti con l’ultima stilettata a Pdl e Pd – se ha dato segni di scarso gradimento è stato nei confronti di altri protagonisti del processo politico, non nei confronti del governo».
Sarà . Ma la sicurezza del tandem Fornero-Monti non si trova neanche nel resto dell’esecutivo. Sono già a verbale di Palazzo Chigi, infatti, i dubbi dei due ministri più vicini al Pd (Barca e Balduzzi). E sulla strategia da bulldozer della ministra torinese è evidente il silenzio di due super-ministri cattolici molto attenti al dopo Monti come Andrea Riccardi e Corrado Passera.
Chi invece non si fa sfuggire la possibilità di un attacco frontale al Pd è Angelino Alfano. Per il segretario del Pdl «l’Italia è ostaggio della Cgil che è ostaggio della Fiom». E Monti ha ragione: «Meglio nessuna riforma che una cattiva riforma. Se il governo vuole tirare dritto ci troverà al suo fianco, sennò aspettiamo il 2013». Come a dire, se il Pd non beve questa minestra oggi si vedrà col prossimo governo se ne verrà cucinata una migliore o peggiore.
Il pressing di governo e destra sul Pd è dunque forsennato. Ma sarebbe un errore ridurre tanta fibrillazione all’inizio della campagna elettorale per le amministrative. Il lavoro è un tema tanto concreto quanto rovente. Per tutti. Lo dimostra, tra le altre cose, una ritrovata compattezza sugli obiettivi – se non sui mezzi – tra Cisl e Cgil-Uil. Bonanni ripete che per lui (come per Bersani) l’unica possibilità di accordo sull’articolo 18 è il «modello tedesco»: possibilità di reintegro dal giudice e soprattutto un ruolo forte dei sindacati dentro le aziende. Senza contare che dentro Confindustria Squinzi ha battuto il «falco» Bombassei proprio su questo terreno e perfino la Chiesa è quantomai incerta. Anche Monti può scivolare da solo. Lo dimostrano le tensioni con la Spagna di Rajoy per i dubbi sull’extradeficit di Madrid espressi a Cernobbio e, di ieri, anche una frecciatina agli Usa che saranno più veloci dell’Ue ma «non cavano un ragno dal buco, dal buco di bilancio». Obama a novembre si gioca la presidenza e chissà se gli avrà fatto piacere la freddura del professore italiano.
E’ in queste difficoltà fortissime che i due partiti maggiori sembrano – per la prima volta da secoli – iper-compatti verso l’esterno. Alfano e Bersani vogliono rafforzare l’immagine di autonomia dal governo proprio nel momento in cui trattano con Monti a Palazzo Chigi (con tanto di foto) o pranzano insieme lietamente a Cernobbio. Ma Pd e Pdl sono due partiti senza alleati chiari, tutt’altro che monolitici, con leadership fortemente «scalabili» dall’esterno e dall’interno. Tasse, tagli e licenziamenti stanno mettendo una parte crescente dell’Italia in ginocchio. E qualcuno dovrà pagarne il conto politico e sociale. Se Monti non si presenta con chi prendersela?
Sul lavoro una quadra nel merito è sicuramente molto difficile. Il premier ha difeso anche ieri la scelta del ddl al posto del decreto legge ma è difficile che la discussione sia veramente profonda (sul tavolo c’è tutto: dai contributi abnormi per gli autonomi alla riduzione della legge Biagi). «Di sicuro non accetteremo che la riforma sia fatta a polpette», avverte da par suo Fornero. E’ difficile perciò che si vada oltre l’estate. Sui tempi un ruolo chiave lo giocheranno i presidenti delle camere. Fini e Schifani duellano su chi si intesterà la vera discussione sulla riforma. E il Pdl continua a fare ponti d’oro per uno sbocco a Palazzo Madama.
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